Carcere, “detenuti e agenti vittime di un sistema che fa acqua”

La riflessione del vice presidente della Comunità di Capodarco di Fermo, Riccardo Sollini, dopo le violenze nel carcere di Santa Maria Capua Vetere. “Il sistema è strutturato per fare il contrario di quello per cui è stato costruito. Le volte che sono entrato in carcere ho sempre avuto la sensazione che detenuti e ‘secondini’ cercavano di riuscire a tirarsi fuori a vicenda da una dignità umana calpestata”

Carcere, “detenuti e agenti vittime di un sistema che fa acqua”

“Una vicenda che va affrontata a monte, partendo dalla dignità di chi deve espiare la pena e ancora di più di chi in quei posti lavora. Entrambi sono vittime di un sistema carcerario italiano che fa acqua da tutte le parti, strutturato per fare esattamente il contrario di quello per cui è stato costruito”. Questa la riflessione del vice presidente della Comunità di Capodarco di Fermo, Riccardo Sollini, dopo le violenze ai danni di alcuni detenuti avvenute nel carcere di Santa Maria Capua Vetere e sulle quali, secondo Sollini, “sono stati espressi molti punti di vista che, a parte quello impronunciabile di Salvini, sono tutti condivisibili pur se vanno in diverse direzioni”.

“Questo perché il mondo del carcere è complesso, fatto troppo spesso di regole non scritte e lasciato per la maggior parte dei casi in una stasi di auto mantenimento - prosegue l’analisi del vice presidente della Comunità di Capodarco -. “l pestaggio è di fatto ingiustificabile, una macelleria cilena che fa male al cuore e mi ha provocato un senso di nausea. Proviamo a ricostruire la storia: durante il periodo della prima pandemia, quando tutta Italia si è trovata imprigionata da un virus sconosciuto, abbiamo introdotto tutte le indicazioni possibili, che cambiavano quotidianamente, a volte contradittorie. Con bollettini del Premier che sembravano dispacci di periodo di guerra. Tutti che provavano a capire cosa fare, ma soprattutto non fare. Nelle realtà istituzionali sono stati messi in campo protocolli, obblighi, restrizioni. In parte hanno funzionato, in parte no. Chi non rispettava le regole si è trovato travolto, pensiamo a tutti i morti nelle Rsa, e anche chi le ha sempre rispettate si è visto sfuggire la situazione di mano. Il carcere – spiega ancora Sollini - è un luogo istituzionale, un luogo di stato, ma di fatto se non ci fossero state le proteste nessuno ne avrebbe parlato. Questo per un motivo semplice: sono ‘non luoghi’, fatti di spersonalizzazione, come buchi neri in cui alla fine vale tutto. Come fai a mettere procedure di distanziamento o di altro tipo quando si è costretti a vivere in 8 persone in 10 metri quadrati, quando si dorme per terra di fianco alla tazza del water. Quando l’ora d’aria viene fatta in un cortile di cemento in cui tutti si è ammucchiati, dove la stanza per i colloqui si trasforma in stanza di incontro dei familiari e allo stesso tempo è spazio di attività alternative. Il tempo si ferma e non scorre, vivi buttato sul letto in cella, sperando che qualcuno ti passi degli psicofarmaci”.

I fatti di Santa Maria Capua Vetere hanno dimostrato che non si può più glissare sulla questione carcere, secondo Sollini un “non luogo” per gli stessi agenti, costretti a turni massacranti in ambienti che hanno le stesse caratteristiche e lo stesso livello di desolazione degli spazi destinati ai detenuti. “In sotto numero, a rischio aggressione quotidiana, a contatto con storie di vita pesanti - spiega il vice presidente di Capodarco -. A volte provi compassione, a volte ti fanno schifo, con turni strazianti. I numeri di suicidi tra agenti penitenziari è altissimo, senza parlare delle continue minacce e insulti. Tutto crea una situazione esplosiva in cui, di fatto, nell’opinione pubblica si può fare tutto e il contrario di tutto. L’immaginario collettivo del carcere come luogo dalle regole non scritte, come se lo stato di diritto si spegne. Tutto falso, in realtà le volte che sono entrato in carcere ho sempre avuto la sensazione che detenuti e ‘secondini’ cercavano di riuscire a tirarsi fuori a vicenda da una dignità umana calpestata quotidianamente, in quei luoghi brutti, vecchi, freddi o eccessivamente caldi. Un giorno sono andato a prendere un ragazzo che doveva entrare in comunità, si era fatto 3 anni di carcere. Mi ha guardato, bianco, cotto di farmaci e con lo sguardo fisso mi ha detto: ‘il carcere è brutto’. Qualche anno dopo ho incontrato una guardia penitenziaria, abbiamo parlato e anche lui mi ha detto ‘il carcere è un posto brutto’”.
“Ecco forse in tutto questo – conclude Sollini - si trova la bassezza umana di quelle immagini e le parole che mi hanno penetrato il cuore sono state due testimonianze di chi era presente. L’agente della Polizia penitenziaria che piangeva chiedendo ai colleghi di smetterla e il detenuto picchiato che a distanza di tempo dice: ‘quello che hanno fatto sporca la divisa della maggioranza di loro che fanno onestamente il loro lavoro’”.

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)