Cambiamenti climatici. La temperatura sale, il Veneto si adatta
La nostra Regione si trova in un “punto caldo” del pianeta, qui le temperature saliranno più che altrove. Il 4 luglio è stata presentata la Strategia regionale di adattamento ai cambiamenti climatici
Anche se contraddistinta da un acronimo poco orecchiabile e vagamente onomatopeico – Sracc – la Strategia Regionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici in Veneto, mette in chiaro la sua ragion d’essere fin da subito e grazie a una parola, a un dettaglio. La strategia, presentata in Regione lo scorso 4 luglio dopo un anno di lavori, non contrasta, non nega l’esistenza dei cambiamenti climatici né li rifugge, propone bensì alcune modalità su come adattarsi ai cambiamenti climatici che insistono sul Veneto in misura maggiore rispetto a molti altri luoghi del pianeta. «La nostra Regione – spiega Francesco Rech, esperto di Arpav, Agenzia Regionale per la Prevenzione e Protezione Ambientale del Veneto – in particolare a partire dalla fine degli anni Ottanta, mostra una tendenza di incremento delle temperature medie annue che è valutabile come statisticamente significativo. L’incremento medio osservato è preoccupante, oltre mezzo grado centigrado ogni dieci anni, e maggiore a quanto si riscontra globalmente per le terre emerse sugli ultimi trent’anni. Il Veneto si trova in un “punto caldo” del pianeta per il riscaldamento globale, dove gli effetti del cambiamento climatico sono e saranno più presenti». Nel documento prodotto dalla Regione vengono delineati scenari a cent’anni da oggi. In quale sfera di cristallo si vede come sarà il clima così in là nel tempo? «Per descrivere il clima futuro è necessario l’utilizzo di modelli climatici. Esistono i modelli climatici a scala globale e, nel corso dei decenni e grazie al miglioramento delle capacità di calcolo, questi modelli sono e saranno sempre più capaci di riprodurre la complessità del sistema climatico terrestre con le sue componenti». E questi modelli sono affidabili? «Spesso si sente dire che se facciamo fatica a prevedere in modo affidabile l’andamento del tempo oltre tre o quattro giorni, a maggior ragione non dovremmo dare troppo peso alle proiezioni climatiche che hanno un orizzonte temporale di qualche decennio. In realtà si parla di cose diverse. Le previsioni si propongono di definire nel dettaglio le condizioni meteorologiche dei prossimi giorni, a partire da uno stato di fatto che però contiene al suo interno delle incertezze che fanno sì che l’affidabilità delle previsioni del tempo atmosferico degradi rapidamente nel giro di qualche giorno. Per le proiezioni, invece, le condizioni iniziali non hanno una rilevanza, sono molto più importanti le forzanti climatiche definite dai diversi scenari che vengono analizzati. Sono quindi più affidabili proprio a lungo termine in quanto utilizzano parametri e simulazioni che riguardano il bilancio energetico globale della Terra, l’uso di scenari di emissione di gas serra, i cambiamenti nei modelli di uso del suolo e altri parametri». Cosa ci dicono i modelli? «I risultati mostrano la grande differenza tra lo scenario a basse emissioni e quello ad alte emissioni per il cambiamento climatico nel Nordest del nostro Paese. Nel primo caso il cambiamento di temperatura e precipitazione tende a fermarsi nella seconda parte secolo. Nel secondo caso il cambiamento continua per tutto il secolo con un sostanziale riscaldamento: un aumento di cinque gradi centigradi in estate e di quattro gradi in inverno. Ci si aspetta anche un aumento della precipitazione in inverno fino al 35 per cento nelle aree alpine e una diminuzione in estate fino al 30 per cento in pianura. Il riscaldamento è maggiore nelle zone montuose e aree alpine rispetto alle zone costiere e pianeggianti. Nelle aree montane, con lo scenario ad alte emissioni, c’è un sostanziale aumento nella durata delle ondate di calore di oltre quaranta giorni all’anno, un aumento delle precipitazioni intense, addirittura fino a un più 120 per cento, una diminuzione dei giorni con neve nuova di 35 giorni all’anno. Sia le aree costiere che di pianura presentano un aumento del numero massimo di giorni consecutivi asciutti in estate, fino a venti giorni. Le prime sperimentano un forte aumento delle notti tropicali fino a ben settanta giorni all’anno; mentre le seconde presentano un forte aumento dei giorni caldi fino a sessanta giorni all’anno». Arpav dunque ha messo in fila i dati, l’Università veneziana di Ca’ Foscari ha offerto alcune analisi, la Regione ci ha messo i tecnici e il coordinamento e il risultato è proprio la Strategia Regionale per l’Adattamento ai Cambiamenti Climatici. La chiave di fondo della strategia sta tutta nel darsi delle priorità d’azione: preso atto che il clima è cambiato e continuerà a farlo, cosa fare nell’ipotesi peggiore? Se la vita umana è prioritaria, quali interventi vanno pianificati di conseguenza? Vanno salvate prima le industrie? O forse il patrimonio culturale? E le campagne? «Nell’affrontare la tematica della Strategia Regionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici ci siamo resi contro che la complessità della realtà regionale si riverbera in un enorme articolazione di attività e in una conseguente moltitudine di strumenti di pianificazione territoriale afferenti a diverse strutture comunali, regionali e nazionali – conclude il tecnico di Arpav – Spesso questi atti pianificativi considerano e promuovono in modo implicito o esplicito azioni di adattamento o di mitigazione: Il senso della strategia regionale è pertanto quello di avviare un lungo cammino che consenta di individuare e favorire le sinergie tra le azioni di adattamento intraprese nei diversi ambiti di attività, valutando le priorità di intervento».
Gli eventi eccezionali ora sono normalità
La prima forma di prevenzione sta nel realizzare definitivamente che i fenomeni atmosferici possono essere straordinari nella loro intensità e violenza ma non sono più eccezionali in termini di frequenza. «Purtroppo l’eccezionalità dei fenomeni produce danni concreti che interessano direttamente il nostro portafoglio o che si traducono in aumenti dei premi assicurativi – chiosa Francesco Rech – Le assicurazioni sono molto sensibili alla problematica del cambiamento climatico e potrebbero fornire una visione molto concreta in termini di danni economici e dinamiche delle polizze assicurative». Ne sa qualcosa chi ha subito i danni delle violente grandinate del 2023 ed è, magari, ancora alle prese con indennizzi e riparazioni.