Caldo e poca neve. Montagna fragile
Notti a mille metri con il termometro sopra lo zero e precipitazioni scarse. Non è allarme solo per gli amanti dello sci. A rischio le riserve idriche di tutta la regione
S crivo da Asiago, una montagna calda e senza neve. Inverni senza neve, o meglio con poche o tardive precipitazioni, ne avevamo già visti, ma un inizio di febbraio con temperature superiori a 15 gradi è sicuramente insolito e allarmante, anche perché segue a un anno, il 2023, che è stato dichiarato l’anno più caldo nella storia dell’Europa. Stiamo vivendo tutti, montanari e non, un ondeggiare di sentimenti: da una parte siamo contenti perché alte temperature significano condizioni di vita più facili, minor consumo di combustibili e dunque minori spese quotidiane. Dall’altra, in pieno inverno lo spuntare di fiorellini sui prati e il gonfiarsi di gemme sugli alberi costituiscono immagini inquietanti, che ci ricordano quel tema spesso citato ma poco seriamente considerato che va sotto il nome di riscaldamento del pianeta. Le alte temperature sono accompagnate in questo periodo da scarse precipitazioni e, come è facile intuire, le conseguenze non potranno che essere quelle legate ai fenomeni siccitosi. La neve ha sempre rappresentato una grande riserva idrica per la montagna e per la pianura, per certi aspetti più importante della pioggia, perché a lento rilascio. Capita che in primavera e in estate si manifesti un periodo scarso di piogge e che la carenza idrica venga compensata dalla neve che si scioglie e da quella che, sciolta, si è accumulata nei grandi bacini sotterranei. Ma, appunto, prima la neve dovrebbe cadere abbondante. Naturalmente potrebbe arrivare anche nel corso di febbraio e poi a marzo e ripristinare le scorte. Tuttavia l’allarme è scattato, anche in considerazione di notti che passano in montagna con il termometro sopra lo zero: l’effetto non può essere che un aumento dell’evaporazione dell’acqua presente in superficie, nei tessuti delle piante, nelle pozze, nei piccoli ruscelli. Ritengo che da parte di chi ci amministra debbano essere intensificate le iniziative, che sappiamo in parte già in atto, tese a realizzare invasi sparsi su tutto il territorio per raccogliere le acque di pioggia e di scorrimento. In parallelo dovrebbero avviarsi tutte quelle buone pratiche di risparmio del prezioso liquido, con comportamenti ispirati al buonsenso del buon padre di famiglia. Sarò diretto: questi comportamenti ancora non li vedo e forse dovrebbero essere indotti da regolamenti resi obbligatori dalla legge. Intanto la montagna viene sempre più visitata. Vedo quello che accade sul territorio dell’Altopiano dei Sette Comuni, ma dalle altre montagne arrivano considerazioni analoghe. Come non capire le persone che, vedendo una bella giornata, decidono di passare il sabato e la domenica in montagna? Questi piccoli spostamenti hanno anche il significato di allontanarsi almeno per qualche ora dalla nostra pianura ad altissimo grado di inquinamento, acuito dal perdurare dell’alta pressione e ancora dalle scarse precipitazioni. Appena si arriva un po’ in alto si percepisce la differenza: aria migliore, perfino profumata, bassissima umidità e talvolta temperature superiori a quelle che si registrano in città. Sto descrivendo un paradiso e cammino sui prati intorno a casa gustandomi questo regalo, ma una vocina dentro di me mi sussurra che qualcosa non gira per il verso giusto... e mi rovina la festa. Da montanaro dico: fate bene a venire in montagna. Fate del bene al vostro corpo, al vostro spirito e alla gente di montagna che così lavora di più. Però le code lunghissime delle automobili che salgono e scendono, l’allungamento dei tempi di percorso che raddoppiano e talvolta triplicano rispetto a quelli normali, la difficoltà di trovare un parcheggio o un posto in pizzeria mi fanno pensare che qualche problema si stia manifestando. Poiché per tutta la vita mi sono occupato della difesa della natura, continuerò a farlo anche in questa occasione. La montagna è sempre stata, per la scarsa presenza di abitanti rispetto alla pianura e per la difficoltà di raggiungere alcuni luoghi, uno scrigno nel quale i sistemi naturali si sono preservati. Questi sistemi sono fragili e chiedono rispetto. La grande affluenza sulle “terre alte” di persone che, dato il basso strato di neve, raggiungono valli e boschi un tempo irraggiungibili, porta un indubbio disturbo: gli animali selvatici sono portati a spostarsi, a non farsi vedere, e queste piccole migrazioni chiedono un dispendio energetico alto. In altre parole vengono messi in difficoltà, e non ce ne accorgiamo. È magnifico che molte più persone di prima scoprano le meraviglie delle nostre montagne, si avvicinino alla natura e imparino a conoscerne il fascino, ma bisogna ricordare che quello che ci circonda è fragile, va “usato” con cautela, va preservato anche con un calcolo egoistico: sarà la nostra scialuppa di salvataggio.
Daniele Zovi
Scrittore e Naturalista