Buste paga. Questo è il tempo di rinnovi contrattuali e, soprattutto, di aumenti salariali
Le associazioni di categoria vorrebbero muoversi compattamente per concordare cifre che comunque costituiscono crescita del costo del lavoro.
Se c’è un tempo per ogni cosa, questo è il tempo di rinnovi contrattuali e, soprattutto, di aumenti salariali. Anche consistenti, perché c’è da colmare il buco lasciato dall’inflazione di questi ultimi due anni negli stipendi.
Quindi soldi. E non welfare, servizi, buoni pasto, agevolazioni o quant’altro aveva dominato i precedenti rinnovi contrattuali. Senza nemmeno fare poderose battaglie sindacali, perché l’evidenza dell’impoverimento creato dall’inflazione non è fraintendibile. Così si sono già mosse pure le banche, anzi si è mossa per prima – e senza sintonia con il resto del sistema – la più grande, Intesa Sanpaolo. Il suo amministratore delegato ha già messo le mani avanti per un aumento delle retribuzioni, “anche perché, con 7 miliardi di utili fatti l’anno scorso, non mi metto a discutere per qualche centinaio di euro di aumento”.
Semplice, chiaro, soprattutto esemplare. Le associazioni di categoria vorrebbero muoversi compattamente per concordare cifre che comunque costituiscono crescita del costo del lavoro; ma le aziende più grandi si trovano da una parte i forzieri pieni, dall’altra con l’esigenza di non perdere personale “pregiato” e anzi di essere più attrattive rispetto alla concorrenza.
Perché un altro leit motiv di questo tempo è la difficoltà di reperire diverse professionalità necessarie in azienda, in un mercato del lavoro (per la prima volta da diversi decenni) dominato dall’offerta più che dalla domanda.
Parliamoci chiaro: chi ha attraversato un periodo di vacche grasse farà meno fatica a contrattare i nuovi livelli retributivi, diversamente da chi si ritrova più esposto ai marosi. Figuriamoci quella fetta di economia che sta arrancando (e c’è). Ma se una tendenza è quella di aprire i cordoni della borsa, l’altra è quella di assumere in pianta stabile: le ultime statistiche sull’occupazione confermano questo trend, con una decisa crescita dei contratti a tempo indeterminato rispetto a quelli a termine.
Insomma, buone notizie pure dal fronte della precarietà: se non si trova personale, si cerca di tenerselo stretto. Anche perché un altro dato del periodo appare estremamente significativo: dal post Covid è emerso un forte turnover, insomma mai come oggi le persone cambiano azienda o lavoro.