All’Opera della Provvidenza ospiti e familiari sono tornati ad abbracciarsi. Con prudenza
All’Opera della Provvidenza si sta tornando, pian piano, alla normalità. Sono ricominciate le visite dei parenti e si stanno organizzando le attività dei volontari. Anche se mancano i numerosi “contatti” esterni che durante tutto l’anno, non solo d’estate, animano la struttura. «Gli educatori – sottolinea mons. Bevilacqua – sono stati impegnati, quasi eroicamente, a sopperire alla mancanza di stimoli esterni, volti, gruppi... alla voglia di interscambio»
«Siamo in una fase strana: superato il momento di massima difficoltà, che ha messo a dura prova per la chiusura, le limitazioni, le precauzioni, ora, grazie anche alla campagna vaccinale iniziata prestissimo per ospiti e personale, stiamo gradualmente compiendo piccoli passi di maggiore libertà. Non possiamo dire di essere tornati alla normalità, ma stiamo andando nella direzione giusta, sperando che le varianti non esplodano». Così si esprime Emanuele Vignali, direttore sanitario dell’Opera della Provvidenza Sant’Antonio. Nelle sue parole si percepisce tutta la prudenza del momento, ma anche la voglia di riprendere attività e relazioni e c’è, latente, anche un po’ di paura per un ritorno alla chiusura. La pandemia, il lockdown, le restrizioni hanno sicuramente colpito duramente la struttura: i casi positivi, fra ospiti e personale, in realtà sono stati pochissimi, ma l’Opsa, per sua vocazione, è una struttura aperta al territorio, alla Diocesi, alle parrocchie, ai gruppi di giovani e il Covid ha forzatamente chiuso questi incontri preziosi.
«Nel complesso – evidenzia il direttore sanitario – abbiamo sempre cercato di garantire una qualità della vita buona. C’è stato un grande sforzo da parte di tutti, operatori, educatori, infermieri, per cercare di rendere meno pesante la situazione. Chi forse ha sofferto di più sono i familiari, impossibilitati a dare un abbraccio. Gli ospiti fanno parte di una comunità, con una organizzazione solida e il personale ha cercato sempre di rendere stimolante ognigiornata».
Da qualche tempo sono ricominciate le visite (con obbligo di vaccinazione da parte dei familiari o green pass). Un traguardo raggiunto gradualmente: prima le videochiamate, poi le visite in presenza solo in particolari situazioni, le visite senza contatto e con la presenza di operatori. Ora il contatto, la carezza, l’abbraccio, sono tornati così come la possibilità di fare una passeggiata nel parco dell’Opsa oppure uscire con i familiari per una cena o un gelato o per trascorrere qualche giorno a casa, quando possibile. «L’unica limitazione che per il momento manteniamo – continua Vignali – è non mescolare gli ospiti dei diversi nuclei. È un obiettivo che ci diamo in questo periodo per tutelare la salute. Un valore dell’Opsa è saper trovare una sintesi fra il contesto del singolo nucleo e il contesto della struttura, l’orizzonte di relazione limitato e quello più ampio. Il lockdown ha insegnato a tutti quanto importanti siano le relazioni, quelle ristrette della famiglia e quelle più allargate della comunità. Qui all’Opsa già lo avevamo capito». La struttura infatti è suddivisa in nuclei, ma in tempi normali, ci sono incontri, mescolanze che generano relazioni positive. Accanto alla voglia di ricominciare, si fa avanti anche la preoccupazione legata alla situazione attuale: se dovesse peggiorare, andrebbe ad aggravare una già evidente stanchezza generale, dei familiari, che vedono la luce ma temono nuove chiusure, degli operatori che hanno dato anima, dedizione e impegno.
«Gli ospiti sono sempre stati abituati all’interscambio – conclude mons. Roberto Bevilacqua, il direttore – a relazionarsi con un mondo che ruotava attorno e gravitava sull’Opsa. Manca lo spirito d’animazione, la presenza preziosa dei volontari. Gli educatori sono stati impegnati, quasi eroicamente, a sopperire alla mancanza di stimoli legati proprio alla circolazione, all’interno della struttura, di tanti volti, gruppi, realtà. Abbiamo sofferto e stiamo soffrendo ancora».
Volontari: si è puntato sulla formazione
«Abbiamo puntato sulla formazione – spiega Lorenza Bertazzo, coordinatrice dei volontari all’Opsa – più che fare proposte di attività. Abbiamo ritenuto importante parlare dell’Abc del volontariato per sottolineare alcuni passaggi importanti sul senso di cittadinanza, sul mettersi in ascolto di sé stessi, sul guardarsi attorno e capire il perché di una scelta di servizio».
Una trentina di ragazzi fra i 16 e i 35 anni, già volontari o alla prima esperienza, hanno seguito quattro incontri e da agosto, una ventina di loro inizierà l’esperienza di servizio, tre ore a settimana, come un tempo. Avevano voglia di riprendere il contatto, così come gli ospiti chiedevano di loro. «Proprio loro ci hanno insegnato ad aspettare, ad avere pazienza – evidenzia la coordinatrice – I volontari invece hanno capito che ci sarà un tempo per tornare».
Palestra di carità, servizio e solidarietà per la Diocesi
«L’Opsa è punto di riferimento per la Diocesi – sottolinea don Roberto Ravazzolo, il vicedirettore – È una palestra di carità, servizio, solidarietà. È testimonianza, laboratorio di attenzione, ora limitato, ma si cerca di aprire sempre più con la sapienza di tracciare una mediana fra quello che sarebbe bello fare e ciò che si può fare. I volti, l’affetto, l’entusiasmo dei volontari fanno bene».