Affido. Martini: “Una Giornata nazionale per raccontare il bello dell’accoglienza”
Non mancano i nodi da sciogliere, a quasi 40 anni dalla prima legge sull’affido, come spiega il segretario del Tavolo nazionale: regioni e comuni che investono in servizi, risorse e operatori e altri che non ne hanno, una percentuale elevata di bambini sotto i due anni collocati in strutture, i problemi dei piccoli con disabilità, i percorsi di autonomia dei neo maggiorenni, gli affidi “tardo riparativi”…
“Verso la Giornata nazionale dell’affidamento familiare – 4 maggio 1983… 4 maggio 2022”. Così si chiama l’evento organizzato a Roma e on line, mercoledì 4 maggio, dal Tavolo nazionale affido, costituito da un tavolo di lavoro delle associazioni e delle reti di famiglie affidatari. Al 31 dicembre 2019, in base ai dati forniti dal Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, Direzione generale per l’inclusione e le politiche sociali, nella pubblicazione “Quaderni della Ricerca sociale n. 49” –“Bambini e ragazzi in affidamento familiare e nei servizi residenziali per minorenni. Esiti della rilevazione coordinata dei dati in possesso delle Regioni e Province autonome” -, i minori in affidamento familiare erano 13.555 (al netto dei Msna), di questi il 57% era affidato a terzi e il 43% a parenti. Un dato rilevante è l’età degli affidati: le percentuali risultano essere elevate per la fascia preadolescenziale e adolescenziale (29,8% per i ragazzi di età compresa tra 11-14 anni e 27,9% per quelli dai 15 ai 17 anni). Quattro affidamenti su cinque sono giudiziari, decisi cioè dai giudici minorili che intervengono su situazioni familiari già complesse, se non compromesse. Al 31 dicembre 2019, il 60,7% degli affidamenti durava oltre due anni e, tra questi, il 21,6% da due a quattro anni mentre il 39,1% si protrae oltre i quattro anni. Il rientro in famiglia avviene nel 34% dei casi; negli altri, il 15,4%, a conclusione dell’affidamento, è successivamente inserito in servizi residenziali, il 12,6% in affidamento preadottivo o in altro affidamento; il 4,5% raggiunge la vita autonoma. Sulla Giornata e, in generale, sulla situazione in Italia abbiamo sentito Valter Martini, segretario del Tavolo nazionale affido.
Perché chiedete l’istituzione di una Giornata nazionale il 4 maggio?
La data pensata per la Giornata nazionale dell’affidamento familiare è il 4 maggio perché proprio il 4 maggio 1983 è stata promulgata la legge 184 sull’affido, poi modificata con la 149/2001 e con la 175/2015, ma la base è rimasta sempre la legge del 1983, che l’anno prossimo compie 40 anni. Essa ha stabilito un principio unico, ancora valido: i bambini hanno diritto a vivere nella loro famiglia, quando ciò non è possibile per motivi seri devono trovare risposte ai loro bisogni affettivi e educativi in un’altra famiglia. Questo per noi è un valore sacrosanto. La Giornata intende valorizzare il lavoro e la scelta che migliaia di famiglie in Italia hanno fatto dal 1983 ad oggi.
Oggi in Italia sono circa 12mila le famiglie affidatarie, che si aprono all’accoglienza, molte volte a partire da motivazioni di fede, religiose, valoriali. Vogliamo far passare il messaggio della bellezza dell’accoglienza.
La Giornata dell’affido servirebbe anche a offrire alle istituzioni competenti a tutti i livelli un momento per ragionare, confrontarsi, fare proposte sul tema dell’affido. Il 4 maggio 2021 abbiamo annunciato la proposta di istituire la Giornata dell’affido, ma non c’era ancora un disegno di legge. Durante quest’anno abbiamo raggiunto i parlamentari e condiviso la nostra proposta, è stato preparato un testo, che è stato presentato oggi. La Giornata nazionale, infatti, per essere istituita necessita di una legge dello Stato. Nel pomeriggio proponiamo un convegno per parlare del bello dell’accoglienza, ma, al tempo stesso, in tutto il mese di maggio tante associazioni stanno promuovendo iniziative sull’affido familiare, per tener viva questa risposta autentica al bisogno di un bambino che ha bisogno di essere allontanato dalla sua famiglia di origine.
C’è la paura da parte delle famiglie di origine di “perdere il loro bambino”?
Voglio chiarire:
noi non vogliamo allontanare i bambini dalle famiglie di origine, ma diciamo non un allontanamento in più del necessario, non un allontanamento in meno.
Quando ci sono situazioni di fragilità, di vulnerabilità, di difficoltà, un bambino deve trovare un’altra famiglia. Negli ultimi due anni, dopo il caso di Bibbiano c’è stato un attacco mediatico nei confronti dell’affido, spesso strumentalizzato come un business dell’affido, come se le famiglie affidatarie fossero conniventi con i servizi per quei bambini che allontanati. Su quello che non va è necessario che la Magistratura indaghi, ma i casi sono limitatissimi, per il resto c’è un bel lavoro di accoglienza. Ad esempio, per i bambini ucraini c’è stata una grandissima disponibilità di famiglie all’accoglienza. La Giornata dell’affido non serve solo a celebrare ma anche a rilanciare la sfida:
accogliere si può, se tutti fanno la loro parte.
Com’è la situazione oggi dell’affido in Italia?
Non ci sono grandi novità sul piano nazionale, resta a macchia di leopardo: ci sono alcune regioni e comuni che stanno lavorando molto bene, perché hanno centri e case, organizzazioni e operatori per l’affido, e altri invece in cui tutto questo manca e l’affido diventa veramente difficile da realizzare.
Una prima esigenza è fare in modo che sul territorio nazionale ci siano più servizi, risorse, operatori dedicati all’affido.
Un altro aspetto da tener in conto è quello dei bambini piccolissimi. Una percentuale elevata dei bambini sotto i due anni non è collocata in affido ma in strutture, a volte in comunità specialistiche. Ma esistono molte esperienze di famiglie ponte, che, preparate e seguite, riescono ad accogliere bambini piccoli, in attesa che il loro percorso si chiarisca: il ritorno a casa nella famiglia di origine, l’adozione, un prolungamento dell’affido. L’affido dei bambini piccolissimi è un tema che ci sta molto a cuore, perché è un problema far vivere i primi anni di vita in strutture, dove ci sono educatori validissimi dal punto di vista professionale, ma che lavorano a turno e quindi non rispondono al bisogno di relazione che il bambino ha. Inoltre, in alcuni ambiti le famiglie affidatarie vengono ancora considerate “usa e getta”, noi vorremmo che fossero valorizzate per la scelta che fanno e maggiormente ascoltate in Tribunale o anche dai servizi. Va compreso che l’affido è un intervento di rete, funziona nella misura in cui ognuno fa la sua parte.
Oggi alle famiglie non sempre viene riconosciuto il ruolo che svolgono. Lo stesso vale per le associazioni che hanno il compito di accompagnare e sostenere le famiglie affidatarie.
Altri nodi?
C’è il problema dei care leaver neo maggiorenni, alla fine dell’affido e del periodo vissuto in comunità: mancano servizi per l’accompagnamento all’autonomia.
Ci sono dei comuni all’avanguardia che hanno previsto che l’affido possa continuare dopo il compimento dei 18 anni fino al 21° anno, alcuni comuni hanno previsto delle risorse economiche per care leaver dai 18 ai 25 anni per garantire un’autonomia negli studi e nel lavoro. L’attenzione è cresciuta, ma non sviluppata dappertutto.
Un altro tema importante è il tema dell’affidamento dei bambini con disabilità o malattia. Questa è un’accoglienza sicuramente complessa, ma questi bambini e ragazzi hanno, ancor più degli altri, bisogno di qualcuno che li accolga.
In questa direzione va il progetto “Portami a casa”, che sarà più ampiamente presentato il 10 maggio, gestito dalla Comunità Papa Giovanni XXIII, di cui io faccio parte, in collaborazione con l’ospedale Regina Margerita di Torino, per l’accompagnamento di una famiglia disponibile ad accogliere un bambino con problemi.
Come Tavolo presentate anche dei dati statistici a cura di Paola Ricchiardi, professoressa dell’Università di Torino: cosa emerge?
Negli anni presi in considerazione (dal 1998-1999 al 2019) si è registrato, dopo una notevole crescita nel 2007, un calo dell’affidamento a terzi o parenti e una crescita, dopo un picco in basso nel 2010, del collocamento in servizi residenziali, tanto che nel 2019 erano questi i numeri: in affido erano 13.555 ragazzi e in servizi residenziali 14.053. Ma è difficile ipotizzare che il calo degli affidamenti sia dovuto ad una minor incidenza del disagio. Infatti, secondo la II Indagine nazionale sul maltrattamento e l’abbandono dei minori a cura di Autorità garante infanzia e adolescenza, Terre des Hommes e Cismai (2021), nel 2013 l’incremento del maltrattamento era del 14,40 e nel 2018 del 15,90. E secondo l’Istituto degli Innocenti (2019 su dati del 2016), tra i motivi principali di allontanamento non ci sono né la povertà né le separazioni conflittuali. Per l’età dei minori affidati, la prevalenza è di preadolescenti e adolescenti. La vita per un periodo prolungato (circa 7 anni) in un contesto di rischio multiplo spiega sia l’entità delle difficoltà di molti minori affidati sia la lunghezza dei percorsi sia il non rientro in famiglia di 2 minori su 3. Un’altra voce riguarda gli affidi consensuali e quelli giudiziali: secondo l’Istituto degli Innocenti (2022) il 25% è consensuale e il 75% giudiziale, cioè disposti dal Tribunale per i minorenni. Ma
da un’indagine campionaria 2021 dell’Università di Torino emerge che il 44% dei rapporti tra affido consensuale e famiglia di origine è buono o ottimo, mentre lo è solo il 25% nel caso di affido giudiziale; ci sono rapporti difficili ma costruttivi nel 23% dei casi con affido consensuale e nel 16% per affido giudiziale, rapporti inesistenti nel 26% degli affidi consensuali e nel 50% degli affidi giudiziali, rapporti negativi nell’8% degli affidi consensuali e 9% degli affidi giudiziali. A mio giudizio un lavoro da fare sarebbe far crescere quelli consensuali.
Infatti, l’affido è uno strumento di aiuto alla famiglia di origine in difficoltà, con una famiglia che l’affianca e l’aiuta tenendo il bambino per il tempo necessario.
Oggi assistiamo purtroppo a molti affidi che noi definiamo “tardo riparativi”,
cioè non viene utilizzato l’affido come strumento di appoggio tra una famiglia e l’altra, che sarebbe più facile: pensiamo l’accoglienza di un bambino in una famiglia che ha il proprio figlio a scuola con quello che deve andare in affido. Così si creerebbe un legame tra la famiglia in difficoltà e quella che accoglie ed è la logica che dovrebbe sottendere all’affido familiare. Invece, tante volte l’affido viene utilizzato quando si sono provati già tutti gli altri interventi possibili, per cui ci si trova troppo spesso bambini che sono già fortemente segnati da anni di sofferenze, sballottati da una parte all’altra. Infine,
gli affidi intrafamiliari sono in crescita dal 2016 al 2019, passando dal 38% al 43%, mentre diminuisce l’affido a terzi, da 62% del 2016 al 57% del 2019. Se è un fatto positivo, si vedrà nel tempo.