Veneto, eccellente ma anche fragile. Se oltre cento regioni europee ci superano nell'indice del Benessere equo e solidale
Incrociando i dati sull’indice Benessere equo e solidale, oltre cento regioni europee superano il Veneto
Come si posiziona il Veneto nelle classifiche sul benessere equo e solidale? È primo. Degli ultimi. Ciò che stupisce, infatti, leggendo le tabelle diffuse dall’Istat è proprio la buona posizione in classifica rispetto alle altre Regioni italiane che diventa però nella media se rapportata ai principali partner europei: secondo, infatti, il Regional Competitiviness Index, il Veneto ha un punteggio di 92,4 e la posizione numero 132 su 234 regioni europee analizzate (Utrecht nei Paesi Bassi è al primo posto con un valore di 150). «Questo posizionamento mediano, a oggi e dopo la pandemia e senza capire ancora quali saranno i costi sociali e oltreché economici della guerra e della conseguente crisi energetica, potrebbe essere letto in positivo – spiega Tiziano Vecchiato, sociologo e presidente della Fondazione Zancan di Padova – È come dire: cari veneti avete margini di miglioramento interessanti, considerevoli e quindi bisogna essere umili, non decidere di essere sempre primi ma di investire sulle aree dove c’è il miglior potenziale a disposizione». Il Veneto si dimostra ancora un “campione” per quanto riguarda la sanità dove raggiunge un punteggio di 119,2 a fronte di una media europea di 92,4 punti ma non fa altrettanto bene quando si parla di tecnologia dove totalizza appena 70,2 punti o nelle istituzioni dove totalizza appena 67,7 punti. «A fronte di questa conferma nella sanità, ci sono due aree di forte criticità descritte dai numeri – continua il sociologo – Una appunto è la cosiddetta flessibilità tecnologica, cioè la capacità di adattamento, e l’altra è in qualche modo la lentezza, l’incapacità di seguire i ritmi del cambiamento da parte istituzioni dove prevale l’approccio burocratico. E questo avviene soprattutto nell’area del welfare dove c’è una frammentazione pericolosa che anche in qualche modo mette in difficoltà le capacità decisionali nei territori e soprattutto mette in difficoltà quello che dovrebbe essere il cavallo di battaglia del Veneto e cioè l’integrazione socio-sanitaria. Il problema è, secondo me, leggere i dati dell’anno prossimo o fra due anni perché quelli che abbiamo oggi pesano il Veneto prima della crisi». Il nodo della questione è tutto qui, l’abbiamo visto con la pandemia quando tutto ciò che si pensava impossibile digitalizzare è stato invece non solo digitalizzato ma anche remotizzato, rendendo accessibile il lavoro a distanza – il tanto vituperato smart working – a una platea enorme di lavoratori che in una discreta percentuale non sono più tornati alle abitudini “ante-Covid”. La situazione, insomma, è in divenire e ogni valutazione, ogni decisione rischia d’essere condizionata. «Dobbiamo utilizzare il meglio che il Veneto ha da offrire – propone il presidente Vecchiato – e per meglio intendo i siti di innovazione e selezionarli per siti di piccola taglia e chiedere loro in qualche modo di collaudare soluzioni poi implementare su più ampia scala. Questa sperimentazione può riguardare i vari parametri indicati dal rapporto come la formazione continua, le competenze digitali, la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, il rischio di povertà. Purtroppo il Veneto ha molto da fare perché non si posiziona bene nel confronto italiano e questo implica una sottostante socialità instabile. Certo, c’è una buona capacità di trasformare il lavoro precario in lavoro stabile, ma questo è uno dei parametri, non è l’unico come pure il non profit non è che sia ai vertici rispetto alle altre regioni italiane, in altre regioni c’è chi fa di più e meglio». Il rischio è quello, quando ci si trova di fronte a tanti dati, di fare ciò che in gergo si chiama cherry picking, letteralmente sceglierli come si fa pescando le ciliegie più belle dal cesto. «C’è consapevolezza nell’opinione pubblica e nella politica, il problema talvolta è ammettere che come abbiamo delle eccellenze, delle potenzialità, abbiamo anche delle fragilità – conclude il presidente della Fondazione Zancan – Allora io farei tesoro di queste cose non per dibattere, non per in qualche modo trovare scuse, ragioni per giustificarsi, ma per dire cosa possiamo fare e selezionare non più di dieci azioni strategiche di piccola taglia su cui formare delle prove di fattibilità, degli esperimenti. Non dobbiamo iniziare dalle promesse politiche, insomma, dalla seduzione che saremo sempre i più bravi».
Un’Europa divisa in tre. Lombardia unica “salva”
La mappa 2022 della competitività tra le regioni dell’Ue, disegna un’Europa divisa in tre gruppi: il primo composto dagli Stati centrali e nordici in cui tutte le regioni registrano un indice di competitività al di sopra della media Ue; ci sono poi i Paesi dell’Est, in cui tutte le regioni sono al di sotto della media, tranne le regioni delle capitali; il terzo gruppo, è composto dai Paesi del Sud, Italia compresa, in cui l’indice è sempre sotto, con cinque eccezioni, tra cui la Lombardia.