Una riflessione a partire da una ricerca Censis Università di Roma Tre sull'imprenditorialità dei migranti in Italia
Se una cittadina o un cittadino straniero in Italia offriranno o meno il loro contributo alla crescita del Paese dipenderà dalla loro capacità di inserirsi nel sistema sociale e dalle possibilità e opportunità che sono loro offerte.
Parlare dei migranti solo quando ci sono gli sbarchi e i problemi connessi sicuramente accende un fuoco molto caldo, ma è assai limitante. Ed è anche fuorviante considerare quella questione il punto chiave della società. Invero non dovrebbe essere nemmeno centrale rispetto al tema proprio delle migrazioni.
Si dovrebbero affrontare anche altre questioni, che vanno oltre l’accoglienza, a partire dalle dinamiche di integrazione, perché, in fondo, se una cittadina o un cittadino straniero in Italia offriranno o meno il loro contributo alla crescita del Paese dipenderà dalla loro capacità di inserirsi nel sistema sociale e dalle possibilità e opportunità che sono loro offerte. Diventano centrali, allora, la scuola e il lavoro.
Una ricerca del Censis in collaborazione con l’Università di Roma Tre racconta “La mappa dell’imprenditoria immigrata in Italia”. I risultati mostrano una situazione variegata, dove ci sono punti forti da valorizzare, e note dolenti, che andrebbero affrontate.
Il primo segnale positivo è la continua crescita degli imprenditori che costituisce il 14,6% del totale. Una porzione in crescita perché, mentre il numero degli italiani diminuiva tra il 2010 e il 2018 del 12,2%, gli quelli immigrati crescevano del 31,7%. Questi dati indicano una forte vitalità nel settore economico dei cittadini stranieri che arrivano nel Paese per lavorare e, molti creano lavoro. Un risultato dovuto anche alla più giovane età dato che oltre il 71,6% ha meno di 50 anni, contro il 44,3% degli italiani. Un altro segnale positivo evidenzia che il 60% degli imprenditori è in attività da almeno tre anni e il 76% dichiara che è soddisfatto o abbastanza soddisfatto dell’andamento dell’attività. Questi indicatori ci mostrano che c’è un inserimento nel tessuto economico del Paese con un contributo al mondo della produzione. Nello specifico, poi, si osserva che a seconda della provenienza etnica si riscontra un diverso settore come i marocchini o i cinesi per il commercio, oppure gli albanesi o i rumeni per il mondo dell’edilizia.
Però, insieme alle luci, la ricerca evidenzia alcune ombre che mostrano i limiti di parte di queste esperienze imprenditoriali. Da un lato c’è una scarsa sensibilità rispetto alla tutela della salute e alla sicurezza sui luoghi di lavoro. Dall’altro lato si evidenzia che il 36% ha una scarsa o limitata conoscenza dell’italiano.
C’è dunque un’integrazione culturale da dover completare, altrimenti l’apporto all’economia rimarrà solo quantitativo e faticherà ad essere qualitativo.