Una casa per tutti. Le antiche storie che precedono la Rivelazione
Mentre qualcuno festeggia nel dono e nella pace, nel passato come nel nostro oggi, molti bambini non hanno nulla e anzi, sono costretti a passare Natale ed Epifania tra le violenze delle guerre
La memoria di un’infanzia in cui la festa non è garanzia di pace e gioia domestica è viva nei poeti e nelle tradizioni che rimandano ai riti propiziatori di passaggio. Compito nostro è quello di ricordarci che mentre qualcuno festeggia nel dono e nella pace, nel passato come nel nostro oggi, molti bambini non hanno nulla e anzi, sono costretti a passare Natale ed Epifania tra le violenze delle guerre. La poesia talvolta, quando è davvero poesia, ha il potere di scavalcare il proprio tempo e la propria cultura, perché coglie il senso profondo di feste che dovrebbero spingerci andare verso gli altri meno fortunati.
“La Befana” di Giovanni Pascoli, ad esempio, non è una poesiola per far contenti i bambini, a ben guardare la descrizione di questo personaggio che stranamente “ha le mani al petto in croce”. La croce come richiamo alla sofferenza, alla morte prima della rinascita. Ad essere visitati non sono solo i bimbi che dormono tranquilli in una villa, in attesa della visita della grande antenata (secondo alcune ipotesi) ma anche quelli esposti alla miseria con una mamma che “veglia e fila/ sospirando e singhiozzando”.
La Befana di Pascoli vede “quei bimbi senza niente”, ma non può fare nulla, perché rappresenta quella che i Greci chiamavano la Necessità, ciò che deve accadere. Ma non deve essere confusa con un fatalismo senza speranza: pur nella sua visione drammatica delle umane vicende, Pascoli ci vuole dire che quella povertà, quel pianto possono essere alleviati dall’azione umana, dal fare, dall’andare verso i sofferenti e coloro che non hanno più nulla per un bombardamento, una persecuzione, una violenza senza senso alcuno perché rivolta agli indifesi e agli innocenti. Parla oggi come ieri, e ci indica la strada della condivisione, seppure del poco.
I tre doni della Rivelazione al Bambino nella culla sono anche la manifestazione di una antica giustizia. I tre saggi di una fede diversa affrontano distanze e pericoli, compresi quelli originati da una politica intesa come violenza e sopraffazione, per conoscere un bambino appena nato, guidati da una stella. La gioia interiore rivela loro, secondo Matteo, che era quello il luogo della nuova nascita, l’origine di ogni cosa.
Le religioni d’oriente confluiscono in una nuova rivelazione, i doni lentamente divengono altro, il termine Epifania con il tempo subisce un processo di assimilazione labiale, dalla p alla b, con la perdita della prima vocale, divenendo Befana, i riti di sepoltura (uno dei tre doni dei magi è la mirra, che serve all’unzione e alla preparazione dei corpi dei defunti) e di attesa del ritorno delle anime dei grandi antenati una volta l’anno -attraverso il foro superiore della capanna arcaica- lentamente aprono la strada a una antichissima tradizione che arriva ai giorni nostri: la Befana sarebbe il ricordo del ritorno dell’avo con la sua maschera mortuaria.
Il che forma tutt’uno con i riti di propiziazione dei futuri raccolti in una stagione di riposo della terra e con l’uso delle scorte messe da parte per l’inverno. In questo caso Befana e Grande Madre diventerebbero parti di un rito che ha a che fare con i cicli della natura, con le piante e gli alberi, i riti di ringraziamento e di propiziazione per i futuri raccolti e questo spiegherebbe la scopa, che richiama il legno, l’albero, la grande importanza della natura per la sopravvivenza. Ieri come oggi.
Il Bambino nella culla è non solo nascita, ma rinascita dell’umanità tutta, e la partecipazione epifanica di altre religioni sta lì a significare come non si tratti di un culto esoterico riservato a pochi, ma abbraccio ai poveri -pastori e contadini- sapienti -i magi-. Non solo aristocratici culti, ma una nuova casa per tutti.