Una Manovra complessa. La politica deve imparare a costruire e non solo a distribuire e a guardare ai giovani
Le risorse sono quel che sono (si ragiona su 30-40 miliardi di euro in tutto) e le recenti promesse elettorali verranno soddisfatte solo in parte.
L’hanno definita un Decreto Aiuti, questa finanziaria preparata dal governo Meloni e che ora si farà radiografare dal Parlamento. Perché le risorse sono quel che sono (si ragiona su 30-40 miliardi di euro in tutto) e le recenti promesse elettorali verranno soddisfatte solo in parte.
La fetta più grossa se l’è presa il dossier energia: soldi per calmierare il costo dei carburanti, sostegni economici a imprese e famiglie alle prese con il caro-energia. Il resto sono briciole o pezzi di pane distribuiti qua e là, spesso nella logica di sostenere i redditi più bassi. Si prenderanno a sua volta risorse qua e là (verrà toccato pure il reddito di cittadinanza), anche se due terzi della manovra sarà fatta a debito: cioè aggiungendo nuovi debiti a quelli vecchi.
Ma i tempi sono cupi e un po’ tutti i governi occidentali stanno manovrando la leva del debito: anzi, in Europa si sta creando una forte tensione tra Paesi che possono fare molti debiti per non finire in ginocchio (Germania, Francia) e altri che sono quasi inchiodati, noi per primi. Perché così si creano forti disparità sul mercato tra aziende foraggiate dagli Stati e quelle lasciate ad affrontare la tempesta a mani nude.
Il capitolo-investimenti non è stato nemmeno aperto. A quelli ci penserà il Pnrr, cioè i soldi che arriveranno (moltissimi a debito) per costruire l’Italia del 2100. Il Paese ha bisogno sia di progetti da realizzare che di soldi. Dalle grandi opere pubbliche – da una nuova e globale gestione della risorsa-acqua fino alla digitalizzazione dell’intera penisola –, fino a quelle medie e diffuse: impianti per la produzione, lo stoccaggio e la distribuzione delle energie rinnovabili; scuole e ospedali che escano dal Novecento; trasporti pubblici e reti viabilistiche moderne; un occhio a natalità, educazione, formazione; risorse e strutture per la quarta età.
L’elenco è lungo, gli ultimi decenni latitano di medi e grandi investimenti, i pochi fatti si sono rivelati utilissimi (il Mose a Venezia, la Tav), ma lenti e assai costosi. Però le risorse da qui al 2026 ci saranno, e dovranno essere restituite se non sapremo spenderle (bene).
Perfetto. Ma due grandi incognite aleggiano sul nostro futuro prossimo: anzitutto la politica deve imparare a costruire e non solo a distribuire; a guardare ai giovani e non solo ai pensionamenti. Poi la macchina che guida – la pubblica amministrazione italiana – o diventa snella, intelligente ed efficace, o tutti i soldi del mondo non ci porteranno niente altro che lentezze, opacità e sprechi. Questa della burocrazia (e della giustizia) è l’unica, vera e grande riforma che la politica di qualsiasi colore è chiamata a fare per il bene dell’Italia e degli italiani.