Un Pnrr che coinvolge tutti. Nota politica
L'attuazione del Pnrr richiede uno sforzo eccezionale sul piano del coordinamento e dell'efficienza, ma deve rifuggire dalla tentazione statalista e tecnocratica.
Soltanto i fatti potranno verificare l’efficacia concreta dell’accordo tra sindacati e imprenditori per disincentivare i licenziamenti dopo la fine del blocco. Senza cantare vittoria in anticipo, si può però già mettere in evidenza l’importanza del passaggio che è stato compiuto. Le rappresentanze dei lavoratori e dei datori di lavoro si sono assunte in proprio una responsabilità “politica” – nel senso dell’interesse generale – e il governo ha fatto da sponda, recependo all’interno di un decreto-legge alcune misure funzionali all’intesa. Solo un episodio, per ora, anche se la memoria storica corre inevitabilmente all’esperienza della “concertazione”, avviata a partire dai primi anni Ottanta e poi praticata soprattutto nei Novanta con Amato e Ciampi. Un’esperienza molto significativa per la vita del Paese e che nel tempo, purtroppo, si è inaridita in una prassi consociativa e corporativa, contro cui ha avuto buon gioco lo tsunami liberista, con gli esiti che sono sotto gli occhi di tutti. La pandemia, però, ha rimescolato profondamente le carte, e se il termine “concertazione” provoca ancora convulsioni ideologiche, oggi è veramente arduo sostenere che la ripresa economica possa dispiegarsi in pienezza e soprattutto consolidarsi prescindendo dal dialogo sociale e dal coinvolgimento di tutte le energie del Paese, di tutti gli attori istituzionali e sociali.
L’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza richiede certamente uno sforzo eccezionale sul piano del coordinamento e dell’efficienza, ma deve rifuggire da quella tentazione statalista e tecnocratica che in occasioni di questo genere puntualmente si riaffaccia. Ne va della stessa riuscita del Piano. Positiva è la decisione di istituire il “Tavolo permanente per il partenariato economico, sociale e territoriale”, composto da rappresentanti delle parti sociali, delle Regioni e degli enti locali, del sistema dell’università e della ricerca e della società civile, così come previsto dall’art.3 del decreto-legge sulla governance del Pnrr. L’organismo avrà funzioni consultive e quindi bisognerà monitorare la sua effettiva capacità d’incidenza. Potenzialmente rilevante è l’esplicito riferimento del ruolo del Terzo Settore nella Missione 5 del Piano, quella che riguarda inclusione e coesione, con una posta da 22 miliardi. Vi si afferma infatti che il Terzo Settore “in coprogettazione di servizi” e “sfruttando sinergie tra impresa sociale, volontariato, e amministrazione, consente di operare una lettura più penetrante dei disagi e dei bisogni al fine di venire incontro alle nuove marginalità e fornire servizi più innovativi, in un reciproco scambio di esperienze e competenze”. La formula sembra riecheggiare alcuni passaggi della fondamentale sentenza 131/2020 della Corte costituzionale che proprio un anno fa ha definito in modo inequivocabile l’originale legittimazione del Terzo settore nel nostro ordinamento. Un approccio che sfida la capacità delle istituzioni, centrali e locali, di aprirsi a una fattiva sussidiarietà, ma anche la capacità della società civile di attrezzarsi in modo credibile e responsabile.