Traduttori cercasi. Il dialogo intergenerazionale non è mai stato un’operazione semplice
Il linguaggio giovanile continua a essere uno stile comunicativo proprio di adolescenti e post-adolescenti
Che lingua parlano i nostri “zedders”, gli adolescenti della Z-Generation?
Una sorta di “tecnoslang”, ovvero un gergo molto particolare, infarcito di tecnicismi e anglicismi, un ibrido mix permeabile anche a regionalismi e localismi, la cui principale connotazione è la rapidità e l’immediatezza.
Lo slang giovanile pare essere fortemente condizionato dai socialmedia, dal mondo del gaming e dai “banditori” che imperversano su tiktok e youtube.
Nascono in questa “terra di nessuno (o di tutti?)” verbi come killare (uccidere), shottare (colpire), bannare (buttare fuori), snitchare (fare la spia), triggerare (infastidire), floppare (avere insuccesso in rete), followare, defolloware o unfolloware (seguire o smettere di seguire una persona in rete), spottare (scrivere sul conto di qualcuno in forma anonima), crushare (avere una cotta).
Molte di queste parole e frasi hanno vita breve, o addirittura brevissima. Sono “effimere”, un po’ come la “socialità” che le produce. Ma non conoscerne il significato è cringe (imbarazzante), o da boomer (anziano). Comunque, chill bro (tranquillo fratello)! Se non si capisce qualche termine si può sempre “googlare”…
Dunque quali sono i contesti da cui gli “zedders” attingono i nuovi registri comunicativi? Una recente ricerca della piattaforma Skuola.net (2022) riferisce, inaspettatamente, che la dimensione analogica batte quella digitale. Le principali fonti di ispirazioni del linguaggio giovanile sembrano essere, infatti, amici o coetanei (55%); seguono, ma molto distanziati, i social network (20%); e ancora minor impatto ha il modo di esprimersi dei personaggi famosi che seguono, come influencer, tiktoker, youtuber, streamer, creator, vip in generale (16%).
Certo, per noi boomer, le cose si complicano molto quando entrano in gioco gli acronimi: OMG (Oh My God, a indicare stupore); TBH (To Be Honest, a dire il vero); XOXO (una sorta di emoticon il cui significato è “baci e abbracci”), BAE (Before Anything Else, un modo di definire la persona del cuore)… Ma “tranqui!!”, anche rispetto a essi ci si può aggiornare.
Queste trasformazioni della nostra lingua rappresentano un impoverimento o una evoluzione? A risponderci è l’Accademia della Crusca che, in occasione della Settimana della lingua italiana (edizione 2022), ha diffuso in collaborazione con l’editrice digitale goWare il volume “L’italiano e i giovani. Come scusa? Non ti followo”, curato dalla linguista Annalisa Nesi. Nel libro, attraverso saggi di diversi autori, viene spiegato che “il linguaggio giovanile continua a essere uno stile comunicativo proprio di adolescenti e post-adolescenti, un sotto-codice esclusivo o semi-esclusivo utilizzato nelle relazioni di gruppo, che pertanto conserva ancora funzioni caratteristiche e si distingue da altre varietà grazie a una serie di particolarità di natura essenzialmente lessicale e fraseologica e a peculiari procedure di esecuzione nella realizzazione degli scambi verbali”.
Dunque ci troviamo di fronte a un impoverimento o uno svecchiamento? “Non possiamo dirlo. Ciò che sappiamo però è che il linguaggio giovanile continua a essere mosso da impulsi imprevedibili, forse oggi più che in passato: pertanto, occorre continuare a osservare le sue fluttuazioni con la necessaria cura, attraverso attente e periodiche ricerche sul campo”.
In effetti, la finalità del gergo giovanile non è diventare “normativo”, estendersi al resto della popolazione, anzi, si potrebbe dire proprio il contrario. Lo slang e i neologismi dei giovani identificano il gruppo e lo differenziano dalla massa, si tratta di linguaggi il cui fine principale è “rompere” schemi e strutture del mondo adulto.
C’è da dire che il dialogo intergenerazionale non è mai stato un’operazione semplice, soprattutto perché le voci tendono a sovrapporsi e le opinioni entrano spesso in rotta di collisione. Una buona strategia potrebbe essere quella dell’ascolto attivo – come viene suggerito anche nel volume curato dalla Crusca -, da attuare e insegnare. Senza dimenticare che ascoltare vuol dire soprattutto “accogliere”, al di là di qualsiasi slang.