Tasse & tagli. La vera leva che fa alzare stipendi e tenore di vita è l’aumento dei salari reali
A fronte di manovre che, nel corso dell’ultimo decennio, hanno impoverito le casse dello Stato di circa 100 miliardi, i benefici reali si sono fatti sentire poco.
Il governo Meloni ha recentemente deciso di ridurre l’Irpef pagata dai contribuenti meno abbienti, con un beneficio che differisce appunto a seconda dei redditi dichiarati. La presidente del Consiglio l’ha presentato come “il più imponente taglio delle tasse degli ultimi 30 anni”. Dichiarazione esagerata e non veritiera, ma d’altronde ogni venditore loda la merce che propone. E si tenga conto che la riduzione vale solo fino a dicembre 2023.
In realtà è da un decennio che i vari governi prendono provvedimenti in questo senso. Quello guidato una decina d’anni fa da Enrico Letta sforbiciò 2,6 miliardi di euro; poi gli 80 euro al mese di Matteo Renzi, per una manovra da 9 miliardi di euro l’anno; quindi il secondo esecutivo guidato da Giuseppe Conte estese la platea dei beneficiati, aumentando la misura fino a 100 euro mensili (5 miliardi in meno di tasse incassate). Infine il governo Draghi lavorò sulle aliquote, diminuendo la pressione fiscale di altri 10 miliardi di euro. Ora gli 8 miliardi complessivi messi sul tavolo da Giorgia Meloni.
Tutto bene dunque? No. A fronte di manovre che, nel corso dell’ultimo decennio, hanno impoverito le casse dello Stato di circa 100 miliardi, i benefici reali si sono fatti sentire poco. Sono stati avvertiti poco. Alcuni lavoratori si ritrovano oggi con 100-150 euro netti in più in busta paga rispetto a 10 anni fa, eppure…
Le ragioni sono due, una psicologica e un’altra economica. Piccoli aggiustamenti non hanno un grande impatto sulla nostra percezione: una busta paga che passa da 1.610 euro netti a 1.670, porta un beneficio annuo che sfiora gli 800 euro. Ma in realtà 60 euro al mese non ci cambiano di un grammo la vita.
Perché nel frattempo l’inflazione sta erodendo la nostra capacità di spesa: nello stesso decennio, abbiamo perso più del 16% di potere d’acquisto. Mentre non sono aumentate di pari misura le retribuzioni lorde: meno del 7%. Insomma le nostre retribuzioni hanno perso un decimo del loro potere reale. Quel che i governi hanno messo dentro le buste paga, compensa appena questa perdita di potere d’acquisto. Quindi, alla fine, qualcosa si muove ma sembra che nulla si muova.
Manca in verità la vera leva che fa alzare stipendi e tenore di vita: l’aumento dei salari reali, cresciuti di media del 25% in Francia o Germania, contro il nostro scarso 7. Eppure l’economia in questi ultimi anni sta tirando, i profitti aziendali crescono, ma i frutti non cadono nelle tasche dei lavoratori. Una questione che interpella imprenditori, sindacati, pure il governo. Perché alla lunga l’impoverimento reale provoca malcontento sociale.