Sinodalità: molto più di una democrazia. Una chiesa di fratelli e sorelle che camminano e decidono insieme
Verso il convegno sulla sinodalità. Marco Vergottini analizza senso e forme della partecipazione dei fedeli laici alla vita della chiesa. Sinodalità: una chiesa di fratelli e sorelle che camminano e decidono insieme.
Rappresentanza, partecipazione, democrazia, corresponsabilità: sono categorie fondamentali nella vita della chiesa, ma anche in quella della società civile e nelle relazioni politiche. Gli ambiti sono differenti ma forse non del tutto separati.
In vista del convegno nazionale inter-facoltà "Sinodalità: una chiesa di fratelli e sorelle che camminano e decidono insieme", in programma a Padova il prossimo 12 aprile, affrontiamo l’argomento con Marco Vergottini, già docente di Storia della teologia contemporanea alla Facoltà teologica dell’Italia settentrionale, attualmente incaricato di Teologia pastorale alla Facoltà teologica del Triveneto e autore del volume Il cristiano testimone. Congedo dalla teologia del laicato (EDB, Bologna 2017).
Professor Vergottini, che cosa accomuna e che cosa distingue questi concetti nei due diversi contesti?
«Rigorosamente parlando, la chiesa cattolica non è una “democrazia”, come parimenti non ha senso parlare nel suo caso di una “monarchia”. Per non cadere in equivoci si può sostenere ‒ con il teologo spagnolo A. Torres Queiruga ‒ che è corretto affermare che la chiesa non è una democrazia soltanto a condizione di voler sostenere che essa è molto più di una democrazia. In altre parole, il vissuto ecclesiale dovrà contraddistinguersi per forme concrete di realizzazione che lascino trasparire uno stile ancora “più democratico”, cioè più libero, egualitario, partecipativo e antiautoritario. La chiesa ha dal suo Signore lo stretto mandato di procedere sempre su questa strada, lasciandosi giudicare da questa norma suprema».
Eppure ci sono istituzioni di recente costituzione – basti pensare agli organismi di partecipazione, quali i consigli pastorali ‒ che in parte si richiamano a forme mutuate dalla società civile.
«Proprio nel caso dei consigli pastorali diocesani o parrocchiali si registra il rischio di una confusione di piani e di obiettivi sul piano linguistico. Frequentemente si ripete che tali organismi, non potendo rivendicare un potere deliberativo, si devono accontentare di esprimere un parere solo consultivo. Ciò costituisce un palese equivoco. A proposito del “consigliare” nella chiesa, bisogna finalmente mettere fine a un falso dualismo espresso dalla coppia consultivo/deliberativo. Se la partecipazione dei fedeli assume un profilo “solo consultivo”, si potrebbe ritenere che tale contributo mantenga ultimamente un valore solo facoltativo, finanche quasi decorativo. In realtà, poiché il consiglio è un dono dello Spirito, e non già una prestazione del singolo, il pastore non può che sentirsi obbligato in presenza di consigli saggi, ben ponderati, spirituali, che promuovono il bene della comunità».
Una tale prospettiva beneficia della rinnovata consapevolezza inaugurata dal concilio Vaticano II...
«Precisamente. La chiesa, in quanto comunità, tutela i diritti di tutti i suoi membri nel loro modo di esprimerle i propri desideri e bisogni spirituali. Il concilio Vaticano II sottolinea che i fedeli laici hanno il diritto, proprio in quanto battezzati, di ricevere in abbondanza dai loro pastori i beni spirituali della chiesa, in particolare l’assistenza della Parola di Dio e dei sacramenti. Inoltre, tutti i battezzati dovrebbero apertamente poter rivelare loro i propri desideri e bisogni con quella libertà e quella fiducia proprie dei figli di Dio e dei fratelli in Cristo (LG 37)».