Riforma costituzionale: elezione diretta del premier?
I dubbi sul futuro e sull’effettivo raggiungimento degli obiettivi di riforma nulla tolgono all’intrinseca rilevanza dell’iniziativa del governo sul premierato
Subito a ridosso della presentazione in Parlamento di una legge di bilancio assai controversa e minimalista – anche per obiettivi vincoli finanziari – il governo ha messo in campo l’annunciata proposta di riforma costituzionale per l’elezione diretta del premier, la “madre di tutte le riforme”, come l’ha definita Giorgia Meloni. La circostanza ha dato motivo a più di un osservatore di rilevare quasi un intento compensatorio tra una manovra economica lontana dalle promesse elettorali e un’iniziativa molto ambiziosa e di grande impatto sul piano degli assetti istituzionali. Siccome nell’analisi politica il processo alle intenzioni può essere ammesso e in certi casi è persino doveroso, ci si può addentrare in un ulteriore parallelismo che ruota intorno alla fondamentale scadenza delle elezioni europee di giugno: così come la manovra economica è tutta concentrata nei suoi effetti pratici sul 2024 (poi si vedrà…), così pure nell’ambito delle riforme a livello istituzionale, il premierato e l’autonomia differenziata (che devono marciare in sincronia per l’accordo tra FdI e Lega) le previsioni si fermano al prossimo anno, anche se il percorso per portarle a compimento è decisamente più lungo e pieno di incognite. L’importante è che prima del voto europeo Fdi e Lega possano sbandierare almeno un primo passaggio parlamentare per i rispettivi cavalli di battaglia.
I dubbi sul futuro e sull’effettivo raggiungimento degli obiettivi di riforma nulla tolgono, però, all’intrinseca rilevanza dell’iniziativa del governo sul premierato. A fronte di alcuni tentativi di minimizzare le conseguenze dei cinque articoli del progetto – per esempio sul ruolo del presidente della Repubblica – stanno le parole della premier che ha avuto modo di dichiarare pubblicamente l’intento di cambiare la stessa “architettura istituzionale della nazione”. Che poi tecnicamente il testo varato dal Consiglio dei ministri sia un po’ pasticciato e in alcuni aspetti persino contraddittorio (a detta della maggior parte dei costituzionalisti, compresi alcuni vicini al governo), dipende principalmente da due ordini di motivi. Il primo è il confronto straniante con la concreta situazione attuale in cui un premierato di fatto è già attivo e si sta sempre più strutturando. Paradossalmente la proposta di riforma arriva mentre è in carica un presidente del Consiglio particolarmente forte, che usa sempre più massicciamente lo strumento dei decreti-legge (divenuti ormai la forma largamente prevalente dell’attività legislativa) e la cui corrispondenza al risultato elettorale è fuori discussione. Il secondo è che per mitigare la rigidità del sistema conseguente all’elezione diretta – a rigore non dovrebbe essere prevista alcuna possibilità di cambiare premier senza nuove elezioni, anche di fronte a situazioni eccezionali e di emergenza – si sono introdotte delle norme che attribuiscono ai partiti della maggioranza un potere decisivo rispetto alla tenuta del presidente del Consiglio e alla sua eventuale sostituzione. Una soluzione che serve evidentemente a rassicurare i partner minori dell’attuale coalizione di governo e che però risulta in contrasto con la finalità – peraltro condivisa e ritenuta prioritaria da quasi tutte le forze politiche – di stabilizzare la durata degli esecutivi. Le cronache politiche, infatti, documentano in modo inoppugnabile che le crisi di governo sono nate quasi sempre proprio all’interno delle maggioranze e i cosiddetti “ribaltoni” hanno potuto contare sull’appoggio determinante di uno o più partiti della coalizione in carica.
Alla fine resta l’elezione diretta del premier. E’ questa sorta di investitura carismatica del capo del governo – caso unico nella comparazione con le altre democrazie – che dà il senso all’intera operazione. C’erano altre strade per perseguire forse anche più efficacemente gli obiettivi dichiarati, invece è stata scelta un’opzione del tutto inedita per la tradizione costituzionale della Repubblica. Ma il dibattito è solo agli inizi.