Ricucire, non frammentare. Nota politica
Nel momento in cui il Paese sembra finalmente nelle condizioni di ripartire, va assolutamente evitato il rischio che ci sia chi corre e chi rimane al palo, magari zavorrato da storici ritardi.
Si torna a parlare di autonomia “differenziata” o “rafforzata” per alcune Regioni. Può giovare un minimo di ripasso perché la questione, causa pandemia, era sparita dai radar. E’ il terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione, così come modificato nel 2001, a prevedere la possibilità che siano riconosciute “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia”. Occorre una legge da approvare in Parlamento a maggioranza assoluta sulla base di un’intesa tra lo Stato e la Regione che ne abbia fatto richiesta, sentiti gli enti locali interessati. Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna sono state le prime a farsi avanti e ad avviare concretamente l’interlocuzione con il governo. Anche altre Regioni, però, hanno cominciato a scaldare i motori. La questione ha attraversato la vita del governo giallo-verde, poi quella del governo giallo-rosso e infine è approdata sul tavolo dell’esecutivo guidato da Mario Draghi. Anche il Documento di economia e finanza varato lo scorso aprile, infatti, conferma tra gli ipotetici ddl collegati alla futura manovra di bilancio quello relativo alle “disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata”.
L’argomento gode di grande popolarità a livello locale. Veneto e Lombardia nel 2017 avevano anche tenuto dei referendum (non richiesti né previsti dalla procedura costituzionale) per dare più forza alla loro richiesta e la stessa presenza nel gruppo di testa dell’Emilia Romagna dimostra la trasversalità politica dell’iniziativa.
Ma siamo proprio sicuri che sia questo il momento giusto per riprendere il discorso e che soprattutto che lo si possa fare come se nel frattempo non fosse accaduto nulla? Nel Paese le disuguaglianze sono cresciute e si impone un grande sforzo per ricucire il tessuto sociale, drammaticamente ferito dalla pandemia. Anche dal punto di vista istituzionale, se c’è un problema che è emerso in questo anno e mezzo con indiscutibile evidenza non è stato certo quello di un eccesso di uniformità centralistica ma semmai quello di una frammentazione talora anche disordinata.
Nel momento in cui il Paese sembra finalmente nelle condizioni di ripartire, va assolutamente evitato il rischio che ci sia chi corre e chi rimane al palo, magari zavorrato da storici ritardi. E’ una sfida che intercetta anche l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Riflettere con realismo sui tempi e sulle modalità dell’autonomia, dunque, non implica alcuna nostalgia di statalismo, altra tentazione che quasi per contrappasso si riaffaccia ciclicamente sulla scena pubblica. E’ piuttosto un invito a ragionare e procedere con quello spirito comunitario che il capo dello Stato, nell’impegnativo discorso del 2 giugno, ha posto alla radice stessa della Repubblica. Che è realtà ben più ampia e articolata dello Stato, come espresso solennemente dall’articolo 114 della Costituzione, ma non è neanche una confederazione di mini-Stati.