Proposta di matrimonio e rissa in Parlamento: non stupirsi dei nostri rappresentanti senza fare un esame di coscienza
Si sprecano le iniziative di formazione, le scuole di formazione all’impegno politico. Il ministero competente ha varato l’ennesima riforma dell’educazione civica, che è diventata una sorta di enciclopedia. Ma gli effetti che misuriamo sembrano suggerire un corto-circuito, quando non ci sia un controllo sociale diffuso sugli standard. Allora forse bisogna partire da qui, re-investire sulle regole, sulle istituzioni, sulla qualità
Era una delle poche cose che non avevamo ancora visto: l’aula di Montecitorio come il set di una telenovela: l’innamorato Flavio ha utilizzato gli stilemi della serialità televisiva per la sua Elisa, mescolando tempi, piani, ambienti, come si confà ad una realtà sbussolata, priva ormai di riferimenti. E sullo stesso scenario tinto di rosa, con l’anello e l’amore che trionfa, poco prima l’ennesima rissa in aula. Non ci stiamo facendo mancare nulla. Salvo che il copione è sempre meno interessante e gli attori sembrano essere sempre meno capaci.
Ecco allora che bisogna interrogarsi. Non è il caso di biasimare i tempi o le situazioni e neppure di stupirsi più di tanto. Né di stigmatizzare un processo di degrado. Del linguaggio come dei comportamenti. Come il linguaggio che usiamo nella vita di tutti i giorni, come quello che si sente in tv o sui social è sempre meno ricco, più volgare, meno controllato, così le azioni su quel particolare palcoscenico che è appunto Montecitorio. È una sorta di legge ferrea: non possiamo stupirci dei nostri rappresentanti senza fare un serio esame di coscienza, personale e collettivo.
E proprio questo è il punto.
Si sprecano le iniziative di formazione, le scuole di formazione all’impegno politico. Il ministero competente ha varato l’ennesima riforma dell’educazione civica, che è diventata una sorta di enciclopedia. Ma gli effetti che misuriamo sembrano suggerire un corto-circuito, quando non ci sia un controllo sociale diffuso sugli standard.
Allora forse bisogna partire da qui, re-investire sulle regole, sulle istituzioni, sulla qualità.
Attenzione, non per moltiplicarle, le regole, come si è purtroppo creduto di fare. Tanto più veniva meno una sorta di consenso di base, tanto più si moltiplicavano le norme. Col risultato che tutto si è giuridicizzato senza effetti tangibili. Non si tratta di moltiplicarle le regole, le norme, gli standard, i livelli di qualità, ma di interiorizzarli.
Non è un percorso facile. Anche perché siamo tutti più soli, più individualisti, e anche un poco più violenti, per effetto di un abbassamento degli orizzonti e del grado di fiducia reciproca.
Per questo le istituzioni servono. Cattivi maestri hanno voluto spiegarci nel Sessantotto e poi nel Settantanove, prima che bisognava bombardare il quartier generale, i sessantottini, e poi che il governo non è la soluzione dei problemi ma il problema, i neo-liberisti. Il combinato disposto di queste due “rivoluzioni” è stato affidare tutto al mercato. Con i risultati che la grande crisi di questi anni ha prodotto. Non solo dal punto di vista economico, ma anche e soprattutto culturale e sociale.
Questa operazione verità è il presupposto per reagire, valorizzare i tanti riferimenti alti e forti che abbiamo e da cui possiamo facilmente ripartire: cultura civica, capitale sociale, principi costituzionali ed esperienze vive di comunità. A patto di essere franchi ed esigenti, molto esigenti sulla qualità. Anche se costa.