Previsioni d’inizio anno. Fare l'oroscopo all'economia di questi tempi è più difficile che azzeccare quello dei segni zodiacali
Se di certezze ce ne sono poche, su una si potrebbe quasi scommettere: in Italia cambierà poco o nulla.
Facciamo l’oroscopo all’economia: come sarà questo 2020 al debutto? Una previsione in tal senso si rivela più difficile che azzeccare il futuro in amore o nel lavoro per una Bilancia o un Capricorno: il mondo è talmente interconnesso che uno starnuto in Argentina si trasforma in uno tsunami in Giappone; un dazio americano può mettere in ginocchio mezza Europa; una crisi finanziaria (o anche sociale) a Hong Kong fa girare la testa a mezzo mondo.
In più, il dulcis sta in fundo. A novembre la più grande economia del mondo (gli Usa) andrà al voto e sceglierà il nuovo presidente. Se sarà ancora Trump o se invece il cambiamento sarà radicale condizionerà molto il resto dell’anno e quelli successivi.
Ma prima? Se di certezze ce ne sono poche, su una si potrebbe quasi scommettere: in Italia cambierà poco o nulla. Il prodotto interno lordo continuerà a languire, la crescita economica sarà soprattutto stallo, non si vede alcuna condizione per un decisivo miglioramento della situazione. Che potrebbe avvenire soprattutto dal motore principale della nostra ricchezza, le esportazioni. Ma con un mondo così scombinato, pure l’export fa fatica a crescere com’è cresciuto negli ultimi anni.
I segnali di rallentamento si susseguono, gli stimoli pubblici sono assenti, l’Europa poi va a velocità impensabili al di qua delle Alpi e quindi difficilmente soccorrerà più di tanto chi come noi sta arrancando per propria volontà. Stiamo decrescendo, non si sa quanto felicemente.
In Europa i riflettori saranno tutti puntati sulla Gran Bretagna e, in misura minore, su Francia e Germania. La prima ha ormai i piedi fuori dall’Unione e farà di tutto per assorbire questo trauma. I più temono che si proponga come un gigantesco paradiso fiscale (oltre che come Mecca finanziaria) in concorrenza con chi sta dentro l’Ue. Sarebbero guai.
La Germania si avvia a cambiare leadership politica senza intravvedere grandi statisti all’orizzonte. Le sue industrie prosperano nelle situazioni chiare e delineate, soffrono nelle guerre commerciali dove l’Europa fa la figura del vaso di coccio. La Francia infine è sul crinale: rilanciarsi e approvare grandi riforme come fecero i vicini tedeschi negli anni Novanta; oppure seguire l’immobilismo e il lento declino dei cugini italiani. Nel 2020 ci sarà la risposta.
La Cina continuerà a crescere, ma sempre meno sottotraccia come ha fatto dal 2000 in poi. Userà soldi e leve economiche per diventare superpotenza mondiale. Facile previsione: lo ha fatto fino a ieri. Ma a Pechino non interessa instaurare una pax cinese nel mondo: vuole solo che non ci siano altri che la ostacolino.
Tipo gli americani, la cui economia continua a crescere di anno in anno, ancor più sotto Trump. Che è quel che è, ma che gli affari degli americani (e soprattutto dei suoi elettori) li sa fare benissimo. Contro tutto e contro tutti, ma questa è un’altra storia.
Il resto del mondo continuerà la sua corsa verso un benessere sempre più diffuso (gli indicatori di povertà sono in declino quasi ovunque, salvo che in 16 Paesi nel globo), ma l’ascesa delle medie potenze di cui si favoleggiava a inizio millennio – India, Sudafrica, Brasile, Nigeria, Indonesia, Messico, Russia – è sostanzialmente bloccata. Basata sulle materie prime, se queste declinano, mandano in panne Paesi che hanno strutture democratiche fragili ed economie troppo semplici.
Rimane un orientamento che è ben più di una previsione: l’asse centrale del mondo si sta spostando dall’Atlantico al Pacifico, dal binomio Europa-Usa al sud est asiatico dove vive oltre la metà dell’umanità. Sarà la demografia il petrolio di questo secolo.