Parlami d’amore. L'amore è l'emozione che ci rende più fragili ed esposti
Ci vuole il lessico giusto per costruire e alimentare relazioni. Dare il giusto peso alle parole e soprattutto comprenderne la portata.
“To call myself beloved, to feel myself / beloved on the earth. In questi versi, espressi dal poeta statunitense Raymond Carver alla fine del secolo scorso, è condensato il desiderio più umano: Essere amato sulla Terra. L’amore è la vocazione che ci rende più fragili ed esposti, capace di demolire le sovrastrutture dell’essere e di restituirci a noi stessi esattamente come siamo, senza inganni. Il sentimento più rivoluzionario e alieno in una società che tende al controllo, alla razionalità, al calcolo e, soprattutto, alla perfezione superficiale. L’amore si alimenta della profondità, a volte persino degli abissi, ed è imprevedibile.
Difficile parlarne, quindi, in tempi come quelli che viviamo. Eppure amore resta qualcosa su cui ragionare, soprattutto con i giovani.
Il fatto è che lamore negli ultimi decenni lo abbiamo sezionato, come in unaccurata autopsia post mortem. Il bagno del relativismo lo ha privato della dimensione assoluta e poi è stato cannibalizzato dalla psicanalisi. Da quel tutto indistinto, animoso, fervido e denso di pathos, che era lamore dellimmaginario antico, siamo approdati a un amore incapsulato e smembrato con tanto di manuale delle istruzioni. L’amore del XXI secolo è quindi sempre più regolato da leggi scientifiche, o almeno così ci illudiamo.
E per gli adolescenti com’è questo sentimento? Difficile dirlo. Ascoltando le loro canzoni, arriva il ritratto di un amore arrabbiato, esasperato, distorto, confuso con la solitudine e il bisogno di essere accolti. Ci sono anche continui riferimenti al sesso nelle loro rime, come qualcosa da consumare in fretta storditi dall’ebbrezza delle forti emozioni. Ma poi in altri passaggi delle medesime canzoni il desiderio d’amore torna a confrontarsi con l’assoluto: è amore che salva dai demoni interiori, capace di elevarsi e abbandonare i confini materiali dell’esistenza. È qualcosa che fa ancora tremare i polsi, come direbbero gli antichi, uno spirito sovvertitore che atterrisce per la sua potenza. Il manuale delle istruzioni del XXI secolo ha delle indicazioni molto precise a questo proposito: Non assumere amore se si è troppo fragili. Non assumere amore assieme a sconsiderate illusioni. Non assumere amore in dosi troppo elevate.
E poi c’è la difficoltà dell’incontro. Come si fa a trovare il vero amore? Anche per questo la civiltà 2.0 propone una risposta tecnologica: l’universo delle app può risolvere perfino questo problema. Così, ancora una volta, scegliamo la dimensione scientifica, da laboratorio. Incontrare diventa scegliere su un catalogo, incrociare i propri dati con quelli di qualcun altro. L’ennesimo algoritmo… E l’intimità? Che spazio trova in questi meccanismi? Chissà… Di certo l’amore si trasforma in una delle tante esperienze on demand.
Per la passione, altro ingrediente fondamentale dell’amore, forse la via è meno contorta. In fondo basta affidarsi alla chimica. Ma di chi, o di cosa ci si innamora oggi? L’immagine, prima di tutto. Non per scelta consapevole, siamo talmente bersagliati dalle immagini che è difficile non restarne abbagliati. Peccato, perché poi l’immagine per quanto perfetta, alla fine non basta a intrecciare il legame. Quest’ultimo, infatti, si nutre di condivisioni, complicità, confidenze, apertura dell’animo. Ha bisogno di pensieri che passano attraverso le parole. Chiede empatia.
Ci vuole, quindi, il lessico giusto per costruire e alimentare relazioni. Dare il giusto peso alle parole e soprattutto comprenderne la portata.
E vorrei dirti che ti amo ma è troppo banale, canta Sfera Ebbasta. Chissà se ha letto Carver… Forse più che banale, ti amo è la frase più abusata di questo secolo.
Qualcuno dice che dopo l’incontro e la passione, l’amore ha bisogno di impegno. I soloni di turno saranno pronti a dire che questa è la società del disimpegno. Ma in realtà i tentativi falliscono al primo step di accesso, assai prima dell’impegno. È proprio per l’esperienza dell’incontro che abbiamo smarrito la password.
Magari se insegniamo ai nostri figli a chiudere gli occhi e ad ascoltare il cuore, potrebbe tornare loro in mente. Forse la memoria genetica è più potente dell’algoritmo.