Nota politica. L’anima della democrazia nei giorni del Coronavirus
La democrazia non è solo un insieme di procedure, ha bisogno di valori e di persone.
L’epidemia da coronavirus sta mettendo a dura prova anche il nostro sistema democratico. Il contagio, che non risparmia ministri e parlamentari, rischia di compromettere persino il funzionamento materiale degli organi costituzionali. Il tema del voto a distanza, su cui è in corso un dibattito dalle implicazioni molto serie, appartiene a uno scenario del tutto inedito per il nostro ordinamento. Del resto, gli italiani hanno imparato a familiarizzare con una sigla fin qui ermetica per i non specialisti – dpcm – che indica i decreti del presidente del Consiglio dei ministri, uno strumento normativo che secondo alcuni giuristi non sarebbe appropriato per interventi così pervasivi come quelli che limitano la libertà di spostamento. Non sono questioni di lana caprina di fronte al dramma che stiamo vivendo come comunità nazionale. Se ovviamente la priorità è salvare la vita delle persone e non può che essere così, la democrazia è un bene che dobbiamo comunque tutelare. E la democrazia ha bisogno di regole da rispettare. Anche il Papa, parlando in termini universali al Pontificio consiglio per i testi legislativi, ha ricordato che “le dittature nascono e crescono senza diritto” e che quest’ultimo, “evitando soluzioni arbitrarie”, diventa uno “scudo protettore di chi rischia di cadere vittima dei potenti di turno”.
Di fronte alle grandi emergenze – e quella odierna è, per giudizio quasi unanime, la più grave dalla fine della guerra – si ripresenta forte la tentazione di invocare l’avvento di un demiurgo dotato di “pieni poteri” su tutto e su tutti. L’idea del “supercommissario” che per un momento si è affacciata nel dibattito politico appartiene a questo genere di argomentazioni. Ma quella provocata dal coronavirus non è un’emergenza paragonabile a un terremoto che, per quanto devastante, è un evento circoscritto nel tempo e nello spazio. Un “supercommissario” per l’intero territorio nazionale sarebbe stato più simile al dictator degli antichi romani che alle figure apicali previste dalla nostra Costituzione.
E’ inevitabile, peraltro, che quando sono richieste sistematicamente decisioni rapide, invasive e centralizzate, le procedure ordinarie si ritrovino esposte a forti tensioni. Tanto più in una situazione senza precedenti. Per una democrazia, emergenze epocali come quella in atto rappresentano una sfida radicale: dimostrare di essere capaci di tutelare la salute e, in ultima analisi, la vita dei cittadini, senza demolire le fondamenta del sistema dei diritti e delle garanzie.
La nostra Costituzione non contiene una norma generale per queste evenienze. Risulta molto controversa la possibilità di applicare per analogia quanto contemplato per lo “stato di guerra” (artt. 78 e 87). La Carta indica però una serie di strumenti che possono essere utilizzati in situazioni estreme, dalle limitazioni alla libertà di circolazione per “motivi di sanità o di sicurezza” (art. 16) al potere sostitutivo nei confronti delle Regioni in caso di “pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica” (art. 120), fino alla possibilità del governo di emanare decreti aventi valore di legge “in casi straordinari di necessità e di urgenza” (art.77).
Se le regole sono di fondamentale importanza, tuttavia, lo è altrettanto lo spirito con cui esse vengono lette e applicate. La democrazia non è solo un insieme di procedure, ha bisogno di valori e di persone. Se in un ora così grave possiamo contare su un presidente della Repubblica tanto autorevole sia nel Paese che all’estero (e quanto sia prezioso lo si è visto anche nel momento di fronteggiare la marea speculativa innescata sui mercati finanziari dalle inopinate parole di Christine Lagarde) il merito è di come in questi anni Sergio Mattarella ha saputo interpretare il proprio ruolo alla luce della Costituzione. E forse, nella risposta complessivamente straordinaria degli italiani ai “dpcm” sempre più severi di Giuseppe Conte, ha avuto un peso positivo anche l’atteggiamento non da superuomo del presidente del Consiglio, che pure si è assunto in prima persona la responsabilità di quelle scelte. La risposta degli italiani. Alla fine siamo proprio noi l’anima della nostra democrazia, responsabili delle nostre vite e delle nostre libertà.