Nonni digitali

Le ultime statistiche dicono che circa l’80% degli over 65 utilizza in qualche modo internet e i social media, il numero però crolla se ci si riferisce agli over 75: appena sopra il 30%

Nonni digitali

Mi accingo a scrivere queste righe dopo aver chiuso la mia quotidiana videochiamata con i miei genitori quasi novantenni. Tra le molte cose di cui abbiamo parlato, ci siamo accordati per l’invio via mail di un pdf che hanno scannerizzato e abbiamo commentato alcune notizie apparse sul loro smartphone.

Sono certamente un uomo fortunato, ma l’esempio aiuta a capire che, quando si deve affrontare il tema degli anziani al tempo dell’intelligenza artificiale, forse dobbiamo stare un po’ più attenti a una certa retorica, tanto carica di affetto quanto rischiosamente non precisa. Abbiamo fatto tanto lavoro con gli anziani per introdurli al mondo digitale. E tanto dobbiamo ancora farne.

Le ultime statistiche dicono che circa l’80% degli over 65 utilizza in qualche modo internet e i social media (complice anche l’esperienza della pandemia che ha creato un’impennata dell’utilizzo dei sistemi di comunicazione online), il numero però crolla se ci si riferisce agli over 75 (appena sopra il 30%, ma con notevoli variazioni legate al tasso di scolarizzazione e alla regione di residenza).

Lo spostamento di gran parte dei servizi e della comunicazione sul web, con accesso prevalente mediante una app dello smartphone, di fatto oggi esclude una parte non banale della popolazione, per di più caratterizzata da una crescente fragilità. Questo non possiamo permettercelo.

A colmare questo divario digitale intergenerazionale (così gli esperti chiamano il fenomeno in questione) da anni contribuiscono molteplici progetti di alfabetizzazione digitale per gli anziani, non di rado animati da ragazzi e giovani volontari che si mettono a servizio dei nonni e dei loro coetanei. Le cronache e le immagini di queste attività rallegrano il cuore e mostrano un Italia bella e solidale di cui essere fieri.

Ciò che queste iniziative, e qualunque altra volta a colmare il divario digitale, non possono però ottenere è il risanamento di una frattura culturale che segna questo nostro tempo. Lo studioso americano Marc Prensky è diventato famoso per aver coniato l’espressione “nativi digitali”, riferendosi ai bambini che sono nati nell’era di internet, che si contrappone a quella degli “immigrati digitali”, quanti cioè hanno dovuto imparare questo nuovo linguaggio per abitare un mondo completamente nuovo (più o meno tutti noi, dai trent’anni in su).

La convivenza di queste due tribù di umani è una condizione unica di questi decenni e si concluderà fisiologicamente in non più di sessant’anni. Poi gli immigrati digitali scompariranno e l’umanità che abiterà questo pianeta sarà tutta nata nell’era digitale.

Così, se da un lato dobbiamo sostenere tutte le azioni volte ad aiutare gli anziani ad abitare la rete e usare anche i sistemi di intelligenza artificiale, dall’altra forse non dobbiamo perdere questa occasione unica e preziosa: poter fare dialogare generazioni appartenenti a orizzonti culturali significativamente diversi. Immigrati e nativi digitali vedono e abitano il mondo in modo differente. Affrontano e risolvono problemi, imparano e comunicano con metodi diversi. Lasciamo che si arricchiscano reciprocamente, anche che facciano fatica nel comprendersi e nell’accordarsi. Se riconosciamo che la diversità è una ricchezza per tutti, abbiamo davanti a noi alcuni decenni preziosi e unici, che non si ripeteranno mai più nella storia.

I nonni leggono il giornale di carta, i nipoti vivono nel flusso costante delle notizie digitali. Vederli insieme è una delle grazie uniche e irripetibili di questo tempo.

Andrea Ciucci

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Fonte: Sir