Le difficoltà delle donne immigrate. Una riflessione a partire dal Sesto Rapporto annuale dell’Osservatorio sulle migrazioni
Le cittadine straniere nel nostro paese scontano una doppia vulnerabilità: quella migrante e quella di genere.
Oltre la metà della popolazione immigrata in Italia è composta da cittadine straniere, contano circa il 55% della presenza sul territorio. Questa porzione è destinata a salire almeno nel breve periodo a causa dell’ingresso in Italia delle donne ucraine accolte a causa della guerra.
Purtroppo le cittadine straniere nel nostro paese scontano una doppia vulnerabilità: quella migrante e quella di genere, come afferma il Sesto Rapporto annuale dell’Osservatorio sulle migrazioni pubblicato dal Collegio Carlo Alberto e dal Centro Studi Luca d’Agliano.
Essere donna è uno “svantaggio” per vivere nel mercato del lavoro, a dispetto di livelli di istruzione più elevati. Ad esempio nel 2020 circa il 60% dei laureati era costituito da donne. Però nel mercato del lavoro tra i laureati le donne hanno un lavoro più instabile e meno remunerato. A questo si aggiunge il carico del lavoro di cura che ancora oggi è sulle spalle quasi esclusivamente delle donne.
Il gender gap tra i cittadini stranieri è ancora più alto che tra gli italiani: raggiunge il 28%. Nel 2020 solo una donna su due lavorava. Alcune motivazioni sono da attribuire a fattori culturali, dipendono dalle tradizioni del paese di origine, altre sono dovute a ragioni di ingresso in Italia (quante entrano per ricongiungimento familiare faticano a inserirsi poi nel mondo lavorativo). Quando lavorano poi le donne straniere finiscono per collocarsi nei settori che adottano trattamenti più sfavorevoli: collaborazioni domestiche, le badanti, le addette di pulizia. Ci sono poi le condizioni lavorative, specialmente nel settore domestico infatti c’è un’alta concentrazione di lavoro nero.
Per ridurre lo svantaggio diventa sempre più importante curare una politica dell’accoglienza che si deve coniugare con integrazione, anche con un occhio alla parità di genere.
Purtroppo le politiche migratorie si sono concentrate sull’emergenza degli sbarchi, sull’accoglienza dei rifugiati e la verifica dei diritti dei richiedenti asilo, solo recentemente è stato reintrodotto il “decreto flussi” che fissa la quota di cittadini regolari che possono entrare in Italia per motivi di lavoro (per il 2022 dovrebbero essere quasi 70mila). Un collo di bottiglia che in precedenza ha generato il bisogno di sanatorie per “regolarizzare” la presenza delle persone che erano entrate in precedenza. Alle regole per l’ingresso devono anche seguire misure che aiutino a inserirsi nel contesto sociale: soggetti che indichino alcuni passaggi e che orientino, corsi di italiano, mediatori culturali e istituzionali che guidino nell’incontro nelle relazioni con le amministrazioni e con la regole del lavoro.