Le acque torbide attorno al Mose
Nel 2014 l’Italia è scossa da due grandi scandali: Mafia Capitale e Mose. Il sistema di dighe mobili “travolto” da tangenti, politici e false fatture
Italia 2014: riflette Mafia Capitale e lo “scandalo Mose”. Archiviata la Repubblica di Tangentopoli, affiorano a Roma la cricca criminale di Massimo Carminati & Salvatore Buzzi, mentre a Venezia (e non solo) il sistema dei cannibali.
L’eredità a bilancio
Costruire il Mose, per salvare la città più bella e fragile del mondo, equivale a una spesa pubblica di 6,2 miliardi di euro. Non basta, perché dal 2022 è a bilancio anche la somma di 63 milioni all’anno, soldi indispensabili alla manutenzione del prototipo di alta ingegneria idraulica. Sollevare le dighe mobili in Laguna costa oltre 200 mila euro ogni volta, mentre cominciano a prendere corpo anche le preoccupazioni sulla corrosione delle paratie.
Una storia sintomatica
Comincia il 27 ottobre 1982 a Roma con le imprese Condotte d’Acqua, Italstrade, Fincosit e Mazzi che danno vita al Consorzio Venezia Nuova. Due anni dopo diventerà il concessionario unico del ministero delle Infrastrutture nella Laguna. Nel 1992 esce di scena il presidente Luigi Zanda insieme all’Iri, perché entrano Mantovani spa e il Consorzio coop Costruttori di Bologna. Comincia l’era di Giovanni Mazzacurati e Piergiorgio Baita: il Cvn arriverà a distribuire 100 milioni di euro all’anno fra fondi neri, fatture di comodo, rimborsi spese, consulenze su misura e ospitalità a Venezia. «Dopo Tangentopoli, il Consorzio ha avuto il merito di sollevare i politici dal rapporto diretto con gli imprenditori – spiegherà Piergiorgio Baita – Questo sistema ha fatto scuola con la nascita di varie società di scopo: pubbliche, non devono dare utili ma hanno un’impronta di gestione privatistica, assumono chi vogliono. C’è stata una gara a trasferire competenze dai vari ministeri al Consorzio, che aveva le mani più libere. Poi bastava che il politico si presentasse da Mazzacurati, che dicesse: “queste sono le mie aziende”. E il gioco era fatto». Mazzacurati, vecchio e malato, vola negli Usa: morirà nel 2019. Oggi c’è Massimo Miani, 63 anni, nominato commissario liquidatore da Paola De Micheli (per 18 mesi nel 2020…): il decreto del 7 luglio 2023, a firma Matteo Salvini, contabilizza un compenso di oltre 808.039 euro e 93 centesimi all’anno.
Il Veneto cannibale
Comprati quasi tutti, a denunciare in anticipo lo “scandalo Mose” restano i comitati veneziani e gli ambientalisti. Finché i pm Stefano Ancilotto, Paola Tonini e Stefano Buccini, con un malloppo di 711 pagine, ricostruiscono i legami fra Cvn, imprese, politica e “mandarini” di Stato. Con i vertici del Consorzio, arrestano l’ex governatore Giancarlo Galan, l’ex assessore ai Trasporti Renato Chisso, ma anche professionisti come Roberto Meneguzzo di Palladio Finanziaria e il commercialista Francesco Giordano, funzionari della Regione e del Magistrato alle acque, fino al generale in pensione Emilio Spaziante. Sono i cannibali “modello veneto”. Il flusso di denaro pubblico attiva Paolo Venuti, commercialista, revisore dei conti in decine di società partecipate nel Veneto. Non si salva nessuno: l’ex sindaco Giorgio Orsoni e il consigliere regionale Giampietro Marchese del Pd, mentre contributi fioccano a Davide Zoggia (ex presidente della Provincia, poi nello staff di Bersani), al Comune di Padova, alla Fondazione Marcianum del patriarca Angelo Scola, a Giancarlo Ruscitti, ex segretario generale della sanità veneta.
Sconsolata filosofia
«Il modo in cui si fanno le grandi opere in Italia è criminogeno – ricorda Massimo Cacciari, già sindaco di Venezia ed europarlamentare – Durante i governi Prodi e Berlusconi, avviai un processo di discussione e verifica. In tanti passaggi ebbi modo di ripetere che le procedure assunte non permettevano alcun controllo da parte degli enti locali e che il Mose si poteva fare a condizioni più vantaggiose. L’ho ripetuto milioni di volte, senza essere ascoltato. Negli anni del Governo Prodi, all’ultima riunione del Comitatone che diede il via libera al proseguimento dei lavori del Mose, fui l’unico a votare contro con il solo sostegno di una parte del centrosinistra. Da allora non me ne sono più interessato…».
L’epilogo a Milano
Expo 2015 mutua i meccanismi perversi del Mose. Mantovani spa sarà la capofila della “piastra” di 110 ettari a beneficio dei padiglioni dell’esposizione mondiale a Milano: un appalto da 199 milioni di euro. Enrico Maltauro, titolare dell’impresa edile vicentina, finisce in manette per un giro di tangenti… E oggi? «Lo scandalo che ha coinvolto il Consorzio Venezia Nuova ha portato alla luce lo scheletro di un sistema corruttivo che fa del Nordest uno specchio “invisibile” – risponde Gianni Belloni, direttore del Centro di documentazione ed inchiesta sulla criminalità in Veneto – È solo calibrando la nostra osservazione sulla netta e precipua declinazione locale che si colgono le ragioni della diffusione delle pratiche corruttive. A partire dalla costruzione del consenso sociale, che rende possibile la loro sussistenza e alimenta la loro perpetuazione».
In manette Galan, Chisso, Orsoni e tanti altri...
Il 4 giugno 2014, un’operazione delle Fiamme Gialle ha portato all’arresto di 35 persone, tra cui imprenditori, politici e amministratori, per tangenti legate al progetto Mose, di acronimo di MOdulo Sperimentale Elettromeccanico. Tra gli arrestati, Giancarlo Galan, ex presidente del Veneto, Renato Chisso, assessore regionale, accusato di corruzione, e il sindaco di Venezia Giorgio Orsoni, per finanziamento illecito. L’indagine aveva rivelato un sistema di false fatturazioni per oltre 10 milioni di euro. Grazie ai patteggiamenti, Galan chiuse con 2 anni e 10 mesi, Chisso con 2 anni e mezzo. Due anni per Patrizio Cuccioletta, che da magistrato alle acque avrebbe chiuso gli occhi e ricevette una «buonuscita» di 500 mila euro in un conto svizzero, quattro per Emilio Spaziante, che faceva da “talpa” sull’inchiesta.