La relazione cambia prospettiva. I ragazzi della scuola secondaria Tito Livio dell’istituto comprensivo di Teolo hanno tratto una lezione
I ragazzi della scuola secondaria Tito Livio dell’istituto comprensivo di Teolo hanno tratto una lezione importante dal un lavoro svolto in classe grazie a un'idea della loro docente di religione Gigliola Volpato. Covid... che Natale è la raccolta dei loro pensieri condivisi sull'anno appena trascorso che li ha profondamente cambiati e dove la relazioni si è dimostrata fondamentale per crescere ed esistere.
Quando all’inizio dell’anno scolastico varco la soglia dell’aula mi gioco molto per non dire tutto. Entro in 18 classi, vedo moltissimi ragazzi. Sono due, tre minuti nei quali o porti a casa un match oppure dovrai lavorare parecchio per ribaltare la situazione. Come mai? Perché, almeno per la mia esperienza, la relazione ha molto di spontanea ricaduta, ironica sorpresa, avvincente copione che fa scattare e dare il la all’incontro.
In questo caso dire relazione è coinvolgere persone ed è il modo migliore per educare insegnando. A Natale vista l’impossibilità di fare auguri e coreografie in atrio come di consueto, ho proposto ai miei alunni di scrivere al Covid-19. Mi hanno guardata stralunati. Poi loro dettavano, io scrivevo. E Covid... che Natale prendeva forma e sostanza: diventava pubblica ammissione di scoperte e disagi, di fatti e astruserie, di esorcizzante umorismo, di lezioni imparate ma poco confessate, di verità trasfigurate da quotidiani affetti.
Rileggendo a distanza il tutto potrei tentare di far emergere alcune parole chiave che la situazione Covid-19 ha manifestato nelle diverse classi: ironia (prime), privazione (seconde), interiorità (terze). Queste tre tematiche riferite a quanto stiamo vivendo, una pandemia, mi fanno riflettere sulla relazione ad extra (società civile) e ad intra (classe in aula): l’ironia, quella che ci porta a scambiarci vignette e frasi che ci strappano un sorriso, nelle classi prime è diventata un simpatico elenco dei tipi di mascherine e dei loro pro e contro. La privazione, quella che ci fa penare impauriti e piangere le perdite, nelle classi seconde è riportata così: «Hai messo paura, timore, dolore e sono morte moltissime persone. Ci hai separato dai nonni che spesso sono rimasti soli. Ci hai privati degli abbracci di consolazione. Ci hai privato dei compagni di classe e con la scuola ci hai messo davanti a uno schermo con microfono e webcam accesi. Ci hai privati della libertà di vedere i nostri cari, come abbiamo rimediato? Con le videochiamate, con le telefonate per portare un po’ di serenità e allegria ai nonni, che sono le persone che hai maggiormente ferito».
L’interiorità, quella che ci ha fatto sviluppare maggiore sensibilità nel riscoprire le priorità vitali, è percepita in questo modo nelle classi terze: «Anche se ci hai rubato parecchie cose, noi con l’amore, la voglia, la tenacia, la forza di andare avanti ce le stiamo riprendendo... Di noi ormai si vedono solo gli occhi... In questi occhi a volte si legge paura, tristezza, angoscia, dolore, ma ci possiamo anche leggere speranza, protezione, affetto, felicità nel rivedere le persone care... Se gli occhi sono lo specchio dell’anima... beh, la nostra anima è cambiata. Abbiamo capito che l’affetto cambia le sorti della nostra vita. Ci hai insegnato il significato della vita e per noi studenti, quello della scuola, il rispetto altrui perché l’esistenza può essere veramente breve...».
Mi sono chiesta quanto la relazione educativa sia stata grembo di riflessione generando, come frutto, questo lavoro. Come primo frutto trovo che la riflessione ha portato questi preadolescenti a un cambio di prospettiva, ad affrontare, almeno verbalmente senza banalizzare, il virus che fa ammalare e morire, in occasione del Natale di Gesù, la festa che fa diventare buoni e ricorda il valore della vita. Come secondo frutto penso che la relazione ha guidato questi ragazzi oltre la loro singolarità. Dopo i primi accenni in prima persona, siamo definitivamente passati al noi, per essere insieme, fare barriera e posare, come al muro del pianto, dispiaceri, speranze, desideri, per comunicarci esperienze e condizioni vitali, perché insieme è meglio e questi ragazzi lo sanno bene, perché la socialità è mancata tantissimo, il pc non ha sostituito il rapporto personale e forse, ben si è colta, la differenza tra virtuale e reale.
Una relazione costruita in classe dove rel (religione) e azione (attività educativa) hanno portato ad un buon risultato. Venga quindi, in questo nuovo anno, una rinnovata voglia di costruire insieme nonostante le difficoltà, per continuare a prenderci cura dei ragazzi dando loro strumenti atti a trovare significati. Alla richiesta di che cosa hanno apprezzato del lavoro svolto rispondono così: «Condividere i pensieri, sentire quello che pensano gli altri». Hanno ragione perché spesso tendiamo a condividere cose, oggetti, denaro, ma condividere pensieri richiede un ambiente educativo e una certa intimità non scontati, ci rende fiduciosi nell’esprimerli, coraggiosi nel verbalizzarli, umili nel lasciarci correggere, curiosi nel sentire un altro punto di vista, rispettosi nell’ascolto altrui, co-costruttori di altrettanti pensieri che ci fanno le persone che siamo e che infine ci fa riposare in noi. Perché noi siamo spiriti incarnati e nella carne abitano i nostri pensieri.
Gigliola Volpato
Gigliola Volpato ha acquisito il baccalaureato in teologia e la licenza in teologia pastorale. Attualmente è docente di religione nella scuola secondaria di primo grado e formatrice.