L’elezione del Presidente della Repubblica. Nota politica
Piuttosto che esercitarsi in un “estremamente improprio” e finanche inutile totonomi quirinalizio, è più proficuo far emergere i desideri e le preoccupazioni che animano le forze politiche nei movimenti intorno al Colle più alto delle istituzioni
L’esperienza dovrebbe insegnare che le manovre messe in atto con largo anticipo per l’elezione del Presidente della Repubblica vengono sistematicamente smentite dai fatti. Eppure, man mano che la distanza temporale dalla scadenza si riduce, tra i partiti la tentazione diventa irresistibile. Recentemente è stato il premier Draghi, che pure è uno dei più gettonati nel dibattito semi-sommerso sul Quirinale, a mettere i puntini sulle i: “Trovo estremamente improprio, per essere gentili, che si discuta del Capo dello Stato quando è in carica. L’unico autorizzato a parlare del Capo dello Stato è il Presidente della Repubblica”. E questi ha espresso chiaramente il suo pensiero almeno a partire dal discorso di fine 2020. “La ripartenza sarà al centro di quest’ultimo tratto del mio mandato.
Sarà un anno di lavoro intenso”, disse in quella circostanza. Successivamente, in una dichiarazione in ricordo di uno dei suoi predecessori, Antonio Segni, aveva citato ampiamente la proposta di quest’ultimo per l’introduzione della non immediata rieleggibilità del Capo dello Stato e per la contestuale eliminazione del “semestre bianco” (la ratio della norma costituzionale che prevede l’impossibilità presidenziale di sciogliere le Camere negli ultimi sei mesi del mandato, infatti, è proprio quella di evitare che dal Quirinale si possa brigare a favore di un’ipotetica rielezione). Pochi giorni fa, nel corso di un incontro molto informale in una scuola romana, Sergio Mattarella ha poi confidato ai piccoli alunni che tra otto mesi conta finalmente di potersi riposare. Un modo per dire, in tutti e tre i casi, che non vuole essere rieletto ma che fino all’ultimo giorno svolgerà il proprio ruolo in pienezza – salvo il limite costituzionale di cui sopra – e con il rigore e la dedizione di sempre.
Piuttosto che esercitarsi in un “estremamente improprio” e finanche inutile totonomi quirinalizio, è più proficuo far emergere i desideri e le preoccupazioni che animano le forze politiche nei movimenti intorno al Colle più alto delle istituzioni. Detto in estrema sintesi e senza troppe sfumature e distinguo, i filoni principali sono due. 1) Il centro-destra (soprattutto la Lega) ritiene di avere già in tasca la vittoria nelle urne e preme per l’elezione di Mario Draghi nella convinzione che dopo si andrà rapidamente a votare per l’impossibilità di formare un nuovo governo; sempre ammesso che deputati e senatori – destinati a una non rielezione generalizzata per il taglio dei seggi nel prossimo Parlamento – non si mettano di traverso. 2) Il centro-sinistra vorrebbe che l’esperienza dell’esecutivo Draghi proseguisse fino alla scadenza naturale della legislatura, nel 2023, e per il Quirinale sogna la riconferma di Mattarella o comunque punta all’elezione di una personalità diversa dall’attuale premier.
E’ del tutto evidente come in questa posizione pesino fortemente le difficoltà dei singoli partiti, soprattutto del M5S, e le prospettive ancora incerte di un’alleanza elettorale. Ma è difficile che contestare l’opportunità che l’attività del governo non subisca interruzioni nella fase iniziale dell’attuazione del Piano di ripresa e resilienza. Staremo a vedere come andrà. Intanto suonano ancora una volta sagge le parole di Mattarella: “Questo è il tempo di guardare al futuro, di progettarlo e realizzarlo insieme, perché questa è la condizione per poterlo fare con efficacia in una drammatica emergenza come quella che abbiamo attraversato e che dobbiamo superare e definitivamente accantonare”.