L'Amazzonia dopo il Sinodo. Il missionario padovano don Lucio Nicoletto rilegge l'esortazione apostolica di papa Francesco
Per la prima volta nella storia della Chiesa non ha imposto soluzioni dall’alto. Ma su ministerialità e ruolo delle donne tutto rimane fermo. Mentre il mondo pensava al celibato dei preti, la Chiesa in Amazzonia sentiva che con Francesco si aprivano cammini e processi davvero sinodali
«Un sogno sognato da soli può essere pura illusione, un sogno sognato insieme può essere l’inizio di una soluzione».
Nel lungo cammino delle comunità ecclesiali dell’America Latina e, in particolare, del Brasile si trovano innumerevoli eco di questo adagio liturgico che non ha niente da invidiare all’eredità sapienziale del popolo di Israele. Anche la Chiesa, il nuovo Israele, ha il passaporto timbrato e valido per “sognare”. E papa Francesco ne fa buon uso. Credo che per noi padovani, a questo punto, sia provvidenziale non perdere la profonda verità delle parole che ci ha lasciato in eredità don Giuseppe Zanon: «La Chiesa ha duemila anni di storia, ma siamo praticamente all’inizio». Sentiamo che lo Spirito ci chiama a una nuova Pentecoste, a una nuova “parresia”, dove si possano osare tempi nuovi, modalità nuove, un rinnovato coraggio che ci spinga verso acque più profonde, le acque della Parola di un Dio che come utero materno ci accoglie e ci rigenera per essere creature nuove, per essere chiesa nuova!».
Credo allora che dentro questa cornice si possa comprendere il linguaggio e l’ottica con cui papa Francesco, attraverso Querida Amazonia, ci regala uno dei frutti più genuini del suo sguardo sapienziale, tipicamente latinoamericano. È d’obbligo, per noi stranieri, “toglierci i sandali” delle nostre presunzioni per non correre il rischio di non comprendere i parametri di un pensiero teologico-pastorale che ha accompagnato la riflessione di questa chiesa sorella negli ultimi sessant’anni: la prospettiva “dal basso” o “induttiva”.
Cos'ha da dire un prete fidei donum, figlio di una chiesa italiana ed europea, che vanta con ragione una tradizione teologica e culturale millenaria? Solo una cosa: grazie Francesco. Grazie popolo di Dio che sei in America Latina. E la gratitudine è motivata dalla consapevolezza di aver vissuto gli anni di ministero in questa terra brasiliana imparando prima di tutto a “descostruire”, per poi costruire insieme qualcosa di nuovo. Riconoscere che per vivere la missione evangelizzatrice è necessario porsi in ascolto dell’altro. Non è sempre così immediato capire tutto ciò. Quello che rende tremendamente difficile comprendere la logica che attraversa lo stile e lo sguardo di Francesco sono due binari a mio avviso fondamentali: la sua visione teologica di pastore oriundo dall’America Latina e la sua prassi pastorale, entrambe imbevute di “incarnazione” come mistero e come atteggiamento. Soprattutto come atteggiamento. Non è casuale che il motivo che più ha alimentato la speranza dei popoli amazzonici davanti all’esperienza del Sinodo sia stato espresso in una forma tremendamente semplice e diretta: «Il papa ci ha ascoltato, ci ha dato la parola. Ora ci sentiamo Chiesa!».
Mentre il mondo intero pensava che il Sinodo si risolvesse sulla discussione circa il celibato dei preti o sull’ordinazione delle donne o sulla ministerialità dei laici, la Chiesa in Amazzonia sentiva che con Francesco si aprivano processi autenticamente sinodali, motivo fondante l’esperienza ecclesiale. A distanza di tempo si riconosce come l’assemblea sia stata un'esperienza di popolo di Dio che per la prima volta nella storia della Chiesa non ha imposto soluzioni dall’alto come “istituzione o sistema” o risposte sommarie su temi più grandi di noi. Il richiamo è stato chiaro: favorire quell’atteggiamento tipico di una Chiesa che sia veramente “popolo di Dio”, che si apre al mondo con la forza della Parola e l’atteggiamento del dialogo, vetta e maturità di fede.
Non si può negare una certa amarezza nel constatare che molti sogni sono comunque rimasti frustrati. Quando Francesco apre il discorso sulla ministerialità e sulla presenza delle donne nella vita della Chiesa si percepisce chiaramente una forte diminuzione di spirito di profezia. Sembra quasi un cambio di persona in chi sta scrivendo. Non si può negare che anche vari vescovi, già convinti che si fosse aperta la strada per tentare nuovi cammini, anche solo ad experimentum come è già successo molte volte in passato, siano rimasti delusi da uno degli argomenti su cui tutti, soprattutto i laici, avevano attese molto forti.
Paura di esporsi? Troppe pressioni dentro la Chiesa, soprattutto all’interno della curia romana? Può essere. Tuttavia voglio credere che lo Spirito che ha animato l’esperienza sinodale a partire dallo stile di papa Francesco abbia aperto brecce molto chiare, soprattutto in merito allo stile di ripensare un rinnovamento radicale anche delle strutture della chiesa. Mi pare sia questo il cammino più concreto per la realizzazione di un sogno squisitamente conciliare: una chiesa sempre più chiamata a uscire prima di tutto da se stessa per riconoscersi sempre più fedele al suo Signore. Forse sta qui quel nuovo umanesimo che Francesco ci consegna e che ci permette di sognare una chiesa che riparte dai più piccoli e poveri, da quelli che non contano niente, ma che probabilmente, come l’Amazzonia, hanno nel cuore la vera ricchezza che stiamo perdendo. Sempre se non l’abbiamo già persa.
don Lucio Nicoletto
missionario padovano fidei donum
vicario generale della diocesi di Roraima
Sartori anticipò lo stile scelto da Francesco
Presentando la Redemptoris Missio, mons. Luigi Sartori quasi anticipava lo stile di papa Francesco: «Là dove la fede si apre a ospitare tutti i possibili testimoni e portatori di verità, per diventare fede ricca, adulta, comunicativa, si apre necessariamente a un reciproco dare e ricevere [...] perché solo nel dialogo con gli altri, con un pensiero diverso dal nostro, riusciamo a specchiarci in qualcosa o qualcuno diverso da noi che permette di vedere le nostre ombre e ambiguità, riscoprendo ed evidenziando i valori di ogni parte».