Il volontariato della parola. Un fatto di cronaca fuori dal 53° Rapporto Censis
Un ventenne interroga una società che mette ai margini quel popolo numeroso che vive nel silenzio delle case di riposo.
Italiani ansiosi, incattiviti e pessimisti: è una sintesi dei titoli dei media a commento del 53° Rapporto Censis.
Una radiografia amara densa di dati, statistiche e percentuali preoccupanti. Ci si potrebbe rassegnare e scoraggiare ma nelle ultime pagine di un giornale si incontra una notizia che va in direzione opposta.
Improvvisamente, camminando lungo strade nella nebbia, si scorgono orizzonti inattesi.
Davide ha vent’anni. Studente universitario, vive in un paese in provincia di Novara e sta coinvolgendo i suoi coetanei in un’impresa, il “volontariato della parola”, che è il segno eloquente di una possibile presenza diversa da quella tratteggiata dal Rapporto Censis.
Davide ha deciso di ascoltare gli anziani nelle case di riposo dove, pur assistiti nei bisogni primari, si trovano a vivere l’esperienza dell’abbandono, a sperimentale la sofferenza del non essere più ascoltati, a prendere atto che buona parte delle relazioni si è dissolta nel momento in cui si è chiusa una porta alle loro spalle.
“Mia nonna – racconta Davide al giornalista che lo ha intervistato – è stata ricoverata per quattro anni alla casa di riposo e non poteva più parlare. Da qui mi è nata l’idea di ascoltare i nonni, di parlare con loro, fare domande sul loro passato sulla loro vita. Vedendo mia nonna ammalata ho capito che non poter parlare significa perdere la dignità umana”.
Un ventenne interroga una società che mette ai margini quel popolo numeroso che vive nel silenzio delle case di riposo. Richiama il biblico Davide, ragazzo piccolo e debole, che si trova di fronte a Golia, uomo grande e forte.
“Sono – dice Davide – un ragazzo normale e che vuole alleviare questa prigionia Ho vissuto in quell’ambiente, mi sono attaccato molto a tutti i nonni. Mi hanno insegnato tantissimo. Quando li vedevo, i loro occhi si illuminavano anche solo per un ‘buonasera’”.
Per il “volontariato della parola” non è necessario avere titoli accademici e particolari competenze, basta essere uomini e donne capaci di ascoltare, di donare il proprio tempo, di liberare un anziano dal peso della solitudine.
C’è in tutto ciò un secondo messaggio ed è rivolto a quel mondo adulto che non accetta di ricevere lezioni, domande e provocazioni dai giovani. Le teme e quindi le rimuove con frettolosità e immaturità.
Le piazze di queste settimane ne sono una prova.
I giovani sono stanchi della mediocrità, delle menzogne, delle polemiche, dalle strumentalizzazioni, delle parole vane e camminano verso altri orizzonti.
Reagiscono, come Davide, mettendosi in gioco per costruire nei fatti un futuro in cui la generatività dell’incontro, del coraggio e della solidarietà vinca la sterilità del rifiuto, della paura e dell’egoismo.