Il ritorno del protezionismo. Se gli Usa tornano a comprare solo ciò che è prodotto in patria
Dopo l’enorme fase centrifuga della globalizzazione iniziata dal 2000 in poi, l’economia planetaria si sta ripiegando su sé stessa.
La sigla è Ira, sta per Inflation reduction act ed è il piano americano da 391 miliardi di dollari voluto dal presidente Joe Biden, incentrato sul principio del “Buy America”: compra ciò che viene prodotto negli Usa, e si dovrà produrlo proprio lì sennò niente (abbondantissimi) aiuti pubblici. E l’Europa, che in un primo tempo aveva sognato di agganciarsi a questa poderosa locomotiva d’oltreoceano, ora ha gli incubi. I possenti sussidi e sconti fiscali americani convinceranno più di un’azienda europea a spostarsi lì, come molte filiali americane a tornare nella più conveniente madrepatria.
Dopo l’enorme fase centrifuga della globalizzazione iniziata dal 2000 in poi, l’economia planetaria si sta ripiegando su sé stessa. La liberalizzazione di merci e trasporti ha abbattuto il prezzo delle merci stesse, favorendo i consumatori occidentali; ci siamo dimenticati però che, prima di essere consumatori, dobbiamo lavorare per avere un reddito spendibile. Peccato che le fabbriche nel frattempo si siano trasferite nell’Est Europa, in Cina, India, Pakistan, Bangladesh, Vietnam, Nord Africa… ovunque la manodopera costasse meno.
Questo ha desertificato interi distretti industriali, quali quello siderurgico e motoristico di Detroit, il centro-nord dell’Inghilterra, il nord della Francia, la Ruhr tedesca fino alle chiusure registrate in Lombardia e nel Nordest. Da lì quei mugugni sfociati in proteste (e in voto di protesta) che hanno portato a Brexit, a Donald Trump, ai populismi europei.
Da qui la retromarcia bruscamente innestata da Biden negli Usa, con lo scopo di calmare un’inflazione che lì è stata gonfiata da un eccesso di domanda rispetto all’offerta di beni. Il Covid, l’ingolfamento dei trasporti marittimi, le guerre e le sanzioni hanno portato diversi problemi negli scaffali (e non solo) americani e pure europei: si pensi alla difficoltà di produrre automobili.
Quindi che fare dopo la mossa americana? E qui casca l’asino, in sella al quale sta l’Unione Europea. Per l’ennesima volta affronta i problemi in ordine sparso, quindi senza costrutto e forza. Francia e Germania sono favorevoli ad allargare i cordoni della spesa pubblica, loro che possono farlo. Altri Paesi (vedi Italia) sono così indebitati da non prendere nemmeno in considerazione l’ipotesi; altri ancora non vogliono inimicarsi il mercato americano. In pochi vogliono – per ragioni varie – che sia l’Europa unita a fare nuovo debito comune. Tutti tremano: oltre alla fuga di imprese e lavoro, si teme la concorrenza americana, dopata dai forti aiuti statali.
Vedremo cosa succederà. A rischiare di più sono i Paesi con forte export (Cina, Germania ma anche Italia) e quelli del Terzo mondo, che stavano salendo al Secondo grazie alla globalizzazione. Giova infine ricordare che protezionismo e autarchia sono stati i fertilizzanti che storicamente hanno alimentato le guerre e i periodi di minore prosperità per l’umanità.