Il lavoro non sia una croce. Una riflessione a partire da un'indagine Censis sulla mobilità dei lavoratori
Sono stati circa 8500 i lavoratori che quotidianamente si sono dimessi nei primi nove mesi del 2022, più del 30% rispetto all’anno precedente.
C’è una diffusa sensazione di insoddisfazione nel mondo della produzione e del lavoro. Sembra aumentare in modo sempre più ampio il numero delle persone che vorrebbero cambiare la loro occupazione. E ce ne sono molti che iniziano a farlo. C’è sempre meno gente che accetta un lavoro purché sia. Forse sarà disponibile a svolgere per un periodo di tempo un’attività che non corrisponde alle proprie aspirazioni, poi però inizierà a guardarsi attorno per evitare che quell’attività non diventi la sua croce
Secondo i dati di una recente indagine Censis su “Il valore delle nuove forme di lavoro nelle aziende” sono stati circa 8500 i lavoratori che quotidianamente si sono dimessi nei primi nove mesi del 2022, più del 30% rispetto all’anno precedente. Si aggiunga poi che il 46,7% del campione degli intervistati sarebbe disposto a lasciare il proprio lavoro. Tra gli scontenti non si incontrano soltanto tra i più giovani (50,4%), ma anche over 35enni e lavoratori anziani. L’insoddisfazione ha ragioni differenti: difficoltà di fare carriera, lentezza delle retribuzioni, scarsa rilevanza della qualificazione professionale riconosciuta e paura per il rischio di un’instabilità futura della propria occupazione.
Per il 64,4% degli occupati in Italia il lavoro serve solamente “per avere i soldi di cui si ha bisogno” si afferma nel report. Ci si dovrebbe rendere conto abbastanza rapidamente, che in una situazione di insofferenza e difficoltà, tale motivazione non riesce a soddisfare le aspirazioni. Blocco delle carriere e di salari spengono poi qualsiasi prospettiva di futuro.
La mobilità è dovuta a due fattori ci spiegano i ricercatori: da un lato la ricerca di nuove esperienze professionali che in un tempo difficile ma che sta aprendo alcune nuove opportunità vede giovani e meno giovani più disponibili a tentare nuove strade. Dall’altro lato c’è la progressiva riduzione della popolazione attiva, che sta sempre più invecchiando: solo negli ultimi 10 anni gli occupati sono diminuiti del 7,6% tra i 15 e i 34 anni e del 14,8% tra i 35 e i 49 anni, mentre sono aumentati del 40% quelli tra i 50 e i 64 anni.
Ci accorgiamo così che gli effetti demografici stanno causando cambiamenti anche nel mondo della produzione, e non tutti sono negativi. Sempre più spesso le aziende si troveranno sempre più a dover qualificare la propria offerta di lavoro se vorranno reperire e conservare i propri dipendenti.