Il Paese alla prova dei licenziamenti. Nota politica
Secondo una delle stime più prudenti, quella dell'Ufficio parlamentare di bilancio, i licenziamenti in arrivo dovrebbero essere circa 70 mila, quasi tutti nell'industria.
Il 30 giugno cessa il blocco dei licenziamenti, almeno nei grandi settori dell’industria, della manifattura e dell’edilizia. Nessuno è in grado di prevedere con esattezza che cosa accadrà. Certamente non sarà un passaggio indolore. I fatti gravissimi avvenuti nel comparto della logistica, al di là della loro genesi specifica, stanno lì a dimostrare in modo eclatante il carico di tensioni che si è accumulato in questo tempo di pandemia. Secondo una delle stime più prudenti, quella dell’Ufficio parlamentare di bilancio, i licenziamenti in arrivo dovrebbero essere circa 70 mila, quasi tutti nell’industria. Una cifra lontana dai 5-600 mila paventati dai sindacati, ma se dietro ai numeri vediamo delle persone in carne e ossa con le loro famiglie, si tratterebbe comunque di un’emergenza sociale. Tanto più che, secondo i più recenti calcoli dell’Istat, tra lo scorso aprile e il febbraio del 2020 – cioè prima dell’esplosione del contagio da Covid – risultano oltre 800 mila occupati in meno, nonostante il recupero dei primi mesi di quest’anno. Non solo. Il monitoraggio effettuato da Banca d’Italia e ministero competente ha messo in evidenza come il blocco dei licenziamenti abbia preservato 240 mila rapporti di lavoro nel 2020 e 120 mila nell’anno in corso. Rapporti, si badi bene, che si sarebbero interrotti a prescindere dalla pandemia: troppo spesso si dimentica che non esiste un’età dell’oro pre-Covid a cui ritornare come se niente fosse accaduto, i problemi esistevano anche prima, eccome.
A meno di colpi di scena che al momento appaiono improbabili, nonostante la mobilitazione dei sindacati, e di qualche intervento mirato in extremis, dal 1° luglio il Paese si troverà ad affrontare la prima grande prova che si possa già ascrivere a un dopo pandemia ancora incerto, nonostante gli enormi progressi compiuti con la campagna vaccinale. C’è da sperare che lo slancio della ripresa in atto e il senso di responsabilità degli imprenditori limitino il più possibile i danni sociali. Ma anche la politica deve fare la sua parte. Nel decreto Sostegni-bis, lo stesso in cui il ministro del Lavoro Orlando aveva provato a inserire una proroga generalizzata del blocco per due mesi, sono state inserite delle misure che incentivano le assunzioni e disincentivano i licenziamenti. E resta il blocco fino al 30 ottobre per le imprese che utilizzano la Cassa in deroga e la Fis (soprattutto artigianato e terziario, i settori più colpiti dalla crisi Covid). A stretto giro è attesa la riforma degli ammortizzatori sociali e nel contempo bisogna dare una scossa vigorosa alle “politiche attive del lavoro”, perché contro la disoccupazione non si può agire soltanto in difesa. E’ un settore articolato su base regionale in cui l’Italia non è mai riuscita a decollare. In Germania sono 100 mila gli addetti impegnati ad aiutare chi deve trovare un lavoro, da noi soltanto 9 mila e per di più impantanati in un sistema lacunoso e burocratizzato. Nel Pnrr ai progetti per l’impiego sono stati destinati 4,5 miliardi di euro, 500 milioni sono disponibili già da quest’anno. Bisogna saperli spendere subito e bene.