Il Decalogo che divide solo in apparenza

L’ateismo aggressivo e ideologico, che vorrebbe non la pluralità, bensì l’estinzione del fenomeno religioso, si deve arrendere al fatto che la religione per la gente conta. La debolezza argomentativa dell’ateismo pratico odierno, che vorrebbe cancellare tutto con la scusante che nessuno resti offeso, risiede nel ritenere che quello che è irrilevante per una minoranza di bianchi benestanti, intellettualmente sofisticati e pieni di complessi lo sia anche per la stragrande maggioranza delle persone. Alla gente invece “la religione” interessa, ne parla, ne discute, a volte litiga a causa sua, ma sicuramente essa è un ingrediente presente nella vita di molti, dunque sarebbe strano che le istituzioni non se ne occupassero

Il Decalogo che divide solo in apparenza

Pochi giorni fa è uscita la notizia che il governatore della Lousiana, Jeff Landry, ha firmato una legge per cui in ogni aula scolastica, di ogni ordine e grado, andrà esposto un cartello che rechi stampati in modo ben visibile e chiaro i Dieci Comandamenti, da lui definiti “i documenti fondativi del nostro governo statale e nazionale”.
Ovviamente si è subito levato un coro indignato di voci contrarie, che ritengono una simile azione discriminante per persone di altre fedi o di nessuna. In realtà la reazione oppositiva è proprio quanto auspicato dal governatore, che in questo modo avrà la possibilità di portare tale legge fino alla Corte Suprema, dove può sperare in un’accoglienza favorevole della legge per la presenza di numerosi saggi conservatori.

Senza entrare nel merito dell’iniziativa, va detto che chi argomenta contro tale affissione, vedendovi un’azione discriminante verso altre fedi o verso gli atei, stavolta ha proprio sbagliato mira. Chi si dovrebbe offendere, con i Dieci Comandamenti? Gli ebrei, che li hanno ricevuti da Dio? I musulmani, che si riconoscono come uno dei popoli del Libro? I buddhisti, che hanno dieci precetti che sono praticamente identici ai Comandamenti?

E per quanto riguarda i presunti atei, forse che la loro stessa coscienza, quando rettamente formata, non è orientata da un agire morale che, di fatto, è quello indicato dai Comandamenti? Esiste un sedicente ateo che “senta” che mentire sia legittimo, rubare un diritto, e tradire la propria moglie una simpatica possibilità? No, e la prova schiacciante in tal senso è che chi queste cose le fa, le prova sempre a giustificare con mille forzature razionali.

“A tutti è accaduto di sentire due persone che litigano. L’effetto a volte è un po’ comico, a volte soltanto sgradevole; ma a parte l’effetto, credo ci sia molto da imparare ascoltando ciò che dicono queste persone. Dicono, per esempio: ‘Ti piacerebbe che qualcuno facesse lo stesso a te?’; ‘Questo è il mio posto, sono arrivato prima io’; ‘Lascialo in pace, non ti fa niente di male’; ‘Perché dovresti passarmi avanti?’; ‘Dammi uno spicchio della tua arancia, io ti ho dato uno spicchio della mia’; ‘Su, hai promesso’… La gente – le persone colte e incolte, bambini e adulti – dice cose del genere ogni giorno. Ora, ciò che mi interessa in queste frasi è che chi le usa non dice soltanto che il comportamento dell’altro non gli piace, ma si richiama a certe norme di comportamento di cui presume che anche l’altro sia a conoscenza. Ed è molto raro che questi ribatta: ‘Al diavolo le tue norme’. Quasi sempre cerca di dimostrare che quanto ha fatto non è in realtà contrario alle norme, o se lo è, lo è per un motivo particolare. Sostiene che vi è una buona ragione, in quel caso specifico, perché la persona che ha preso il posto per prima non debba tenerselo; o che la situazione era tutt’altra quando gli è stato dato lo spicchio d’arancia; o che un evento imprevisto lo esime dal mantenere la promessa” (C.S. Lewis, “Il Cristianesimo così com’è”).

L’ideologia atea, per proibire l’esibizione dei Dieci Comandamenti, invoca la libertà delle persone… che è proprio il contenuto dell’incipit del Decalogo: “Dio pronunciò tutte queste parole:
‘Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile:
Non avrai altri dèi di fronte a me. Non ti farai idolo né immagine alcuna di quanto è lassù nel cielo, né di quanto è quaggiù sulla terra, né di quanto è nelle acque sotto la terra. Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai” (Esodo 20, 1-5a).

Che gli atei ritengano il Dio di Mosè un altro feticcio poco conta: quando si indignano per l’affissione di un determinato simbolo religioso, stanno avallando la richiesta di Dio a Israele di non piegarsi alla religione degli altri espressa nel primo comandamento.

D’altro canto, l’ateismo aggressivo e ideologico, che vorrebbe non la pluralità, bensì l’estinzione del fenomeno religioso, si deve arrendere al fatto che la religione per la gente conta. La debolezza argomentativa dell’ateismo pratico odierno, che vorrebbe cancellare tutto con la scusante che nessuno resti offeso, risiede nel ritenere che quello che è irrilevante per una minoranza di bianchi benestanti, intellettualmente sofisticati e pieni di complessi lo sia anche per la stragrande maggioranza delle persone, quando fenomeni come la serie (autofinanziata) “The Chosen”, ad esempio, di cui ci siamo occupati qualche tempo fa, dimostrano platealmente il contrario. Alla gente “la religione” interessa, ne parla, ne discute, a volte litiga a causa sua, ma sicuramente essa è un ingrediente presente nella vita di molti, dunque sarebbe strano che le istituzioni non se ne occupassero.
Quali che siano le intenzioni reali del governo della Louisiana, indubbiamente la legge sulla Legge (del Decalogo) è un’utile provocazione, tanto per l’intellettuale quanto per l’uomo della strada, a riflettere sul fondamento del proprio agire morale, auspicabilmente rinvenendo quanto in esso accomuna il singolo con tutto il resto del genere umano, secondo quello che in effetti era l’intento dell’Autore sia del genere umano che del Decalogo.

Alessandro Di Medio

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Fonte: Sir