I giovani si mobilitano per l’ambiente. Accorinti (Cnr): “Chiedono maggiore coerenza tra vita civile e politica”
"Sono alcuni anni in Italia che la 'partecipazione' è diventata una sorta di mantra, tutti la invocano, qualcuno la pratica, bene o male a seconda dei casi, e spesso è usata in maniera retorica (soprattutto da chi fa politica). Invece si tratta di una 'cosa' seria, importante, non un termine passpartout". Ne parla Marco Accorinti, responsabile dell'area “Valutazione, formazione, politiche sociali” dell'Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali del Cnr, nonché docente presso le università di RomaTre e Bolzano
La mobilitazione dei giovani per l’ambiente ha suscitato molte riflessioni sul ritorno della partecipazione e sui suoi caratteri di novità. Nei mesi scorsi, del resto, non erano mancati altri segnali in questo senso. Ne parliamo con Marco Accorinti, responsabile dell’area “Valutazione, formazione, politiche sociali” dell’Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali del Cnr, nonché docente presso le università di RomaTre e Bolzano.
Dalle “madamine” torinesi pro-Tav alla marcia antirazzista di Milano; dalla manifestazione unitaria dei sindacati a Roma alle primarie del Pd, fino alla recente mobilitazione per l’ambiente dei giovani in tutta Italia. Si tratta in tutta evidenza di eventi molto diversi fra loro. Nel loro insieme, tuttavia, possono essere letti come espressione di un rinnovato desiderio di partecipazione che non vive soltanto sul web ma esce per le strade?
Sicuramente sono fenomeni diversi che meriterebbero una lettura specifica e attenta. Tuttavia alcuni elementi comuni si possono evidenziare. Anzitutto si tratta di espressioni di libera partecipazione di cittadini, che non è cosa di poco valore. Libera nel senso di non necessariamente militante, non necessariamente le persone aderiscono a un gruppo determinato (tipo un partito o un sindacato), ma si ritrovano intorno a un obiettivo che è sociale, di tutti. Inoltre in alcune delle esperienze citate le persone intendono dare un effettivo contributo al compiersi di una determinata attività: non vogliono essere solo comparse ma attori.
Sono, questi, elementi molto importanti, perché di fatto rinnovano l’intera società e rafforzano la democrazia in generale in quanto, se ascoltati e considerati, i cittadini ‘impongono’ in un certo senso una maggiore coerenza tra vita civile e politica: la realtà dei cittadini si mette in relazione con la rappresentanza (i politici).
Che rapporto c’è tra questo tipo di partecipazione e l’attivismo sui social network? Si tratta di forme radicalmente alternative o piuttosto complementari?
Sono alcuni anni in Italia che la ‘partecipazione’ è diventata una sorta di mantra, tutti la invocano, qualcuno la pratica, bene o male a seconda dei casi, e spesso è usata in maniera retorica (soprattutto da chi fa politica). Invece si tratta di una ‘cosa’ seria, importante, non un termine passpartout. Partecipare nel senso di concorrere insieme con altre persone alla costituzione e allo svolgimento di una attività è un impegno che può dirsi ‘reale’ e che può essere misurato, anche in termini di valutazione della sua efficacia e di quello che attiva in seguito.
La rete, i social, consentono di ‘essere parte’ senza ‘prendere parte’ e questo implica un atteggiamento di passività. D’altro canto ‘prendere parte’ senza però ‘essere parte’ può consentire alle persone di esprimere istanze, ma, se la partecipazione non riesce a farsi ‘riconoscere’ e in un certo senso a ‘legittimarsi’, rischia lo stesso di perdere in efficacia.
La rete virtuale può diventare attiva se porta un cambiamento sociale anzitutto in chi vi partecipa tale da costruire percorsi di modificazione della realtà di tutti.
Un elemento comune agli eventi citati è la non violenza. Inevitabile il confronto con quanto invece è avvenuto e sta avvenendo in Francia. Come si può spiegare la differenza così macroscopica tra le due situazioni?
Effettivamente la violenza può essere considerata la degenerazione del movimento partecipativo, che per sua natura dovrebbe attivare un senso di appartenenza, sviluppare capacità di ascolto, essere tollerante, esprimere fiducia reciproca anche se critica… Chi rivendica la propria autonomia rispetto alle istituzioni e alle forze politiche utilizzando espressioni violente, perde di vista i principi democratici e le normative esistenti e non solo è criticabile, ma soprattutto si pone fuori dalle regole della partecipazione che non esclude gli interessi di nessuna parte in gioco, non ‘governa in maniera privata’ la cosa pubblica, non dà consenso a decisioni già prese e con modalità non condivise… L’esperienza francese mi sembra in alcune sue espressioni, ‘umiliante’, distruttiva dell’onore e del rispetto delle persone, un modo per escludere qualcuno. Invece, come dice Avishai Margalit (1999) il riconoscimento delle persone è il fondamento della società decente.
Nel caso dei sindacati e delle primarie del Pd, ad attivarsi sono stati dei soggetti tradizionali della partecipazione. A prescindere ovviamente dalle valutazioni di merito sui contenuti della mobilitazione, si aspettava questo segnale di vitalità? C’è chi parla addirittura di un ritorno dei partiti, visto che anche il M5S ha avviato una riorganizzazione su base territoriale…
Il nostro sistema di governo è democratico, basato sulla partecipazione popolare, non dimentichiamolo. Ora in tale contesto l’agire partecipativo dei cittadini è inteso come forma di sovranità complementare al potere gestito dalle istituzioni.
Ed è proprio l’agire istituzionale che si legittima con l’intervento diretto degli elettori: sono le scelte condivise che portano a interventi diretti dei politici, che altrimenti utilizzerebbero strumentalmente la partecipazione da parte dei cittadini.
Con altre parole, non mi meravigliano le forme recenti di intervento civico, ero piuttosto rimasto stupito di tanto ‘torpore sociale’ che dava molti segnali di un individualismo esasperato dilagante in Italia, contrario a una tradizione culturale basata sull’apertura, la solidarietà, l’accoglienza…
Secondo molti osservatori, la mobilitazione dei giovani per l’ambiente ha presentato dei caratteri di novità rispetto al passato. Condivide questa analisi? E, nel caso, quali sarebbero gli elementi nuovi?
Sì, penso di condividere anche io l’elemento di novità. Ho visto nell’iniziativa recente una presa di coscienza più soggettiva: di fronte a un generale, almeno apparente disinteresse politico-sociale, mi sembra che i giovani e le giovani abbiano espresso un sentimento di vicinanza quasi affettiva per cui hanno condiviso, avvertendole e dichiarandole come proprie, le gioie e le pene di altre persone, loro coetanee nel futuro. Mi sembra nuovo il fatto che non siano stati semplicemente ed evidentemente ‘lì’ per partecipare all’esperienza specifica; al contrario hanno mostrato la voglia e l’intenzione di costruire il mondo della propria vita di tutti i giorni in termini attenti all’ambiente (uso della plastica, riciclo etc.). Come ricercatore sociale attendo di vedere gli esiti di tali forme di partecipazione, con fiducia e in un certo senso speranza.