Economia e società. Zamagni: “Attivare progetti di longevità attiva per superare la contrapposizione tra generazioni”
L'analisi dell'economista sulla cultura dello scontro, denunciata da Papa Francesco, tra giovani e anziani: "Oggi nelle imprese si invitano i pensionandi a rinviare di due o tre anni la pensione. Propongo per gli anziani, invece, di trovare forme diverse nelle quali loro possono essere ancora generativi, cioè generatori di valori, e un supporto prezioso per i giovani"
Parla della contrapposizione generazionale tra giovani e anziani da studioso ma anche da esponente di una delle due parti. Stefano Zamagni, economista, 81 anni, indica la via per dirimere una questione che tocca il cuore del nostro Paese. Parla di “reciprocità” e di “longevità attiva”. Due forme concrete e pratiche che, a suo avviso, permetterebbero – esempi alla mano – di sfatare una serie di luoghi comuni e problemi reali.
Professore, nel messaggio per la prossima Giornata mondiale dei nonni e degli anziani, il Papa indica come un frutto della cultura dello scontro la contrapposizione generazionale tra loro e i giovani. Secondo lei, perché si verifica ciò?
Nell’attuale fase dello sviluppo capitalistico, caratterizzata dalla globalizzazione e dalla finanziarizzazione dell’economia, la nuova competizione è tale per cui chi non raggiunge certi livelli di produttività e certi livelli di efficienza viene eliminato. In passato non era così, perché chi era meno efficiente, meno produttivo, gli o le si affidavano compiti di minore rilevanza, però non lo si buttava via. Oggi invece, coloro i quali sono poco produttivi darebbero fastidio agli altri se continuassero a essere inseriti nei luoghi di produzione. Questo colpisce diverse categorie di persone, gli anziani sicuramente, ma anche i portatori di disabilità e anche in parte, un po’ meno che non nel passato, le donne. E quindi ecco perché quello che denuncia il Papa va letto in controluce. Come dire, se vogliamo porre rimedio alla cultura dello scontro, bisogna avere il coraggio di cambiare il modello di funzionamento del mercato capitalistico.
E verso quale direzione?
Non è vero che, per continuare a svilupparsi, per continuare a progredire nella direzione della redditività, del benessere, occorra operare in questa maniera. Ciò che succederà, se non si cambia, è l’eccessiva competitività. Non dimentichiamo che la competitività è una forma di aggressione, perché ‘io devo battere te, ti devo battere, ti devo vincere’. Una volta, chi perdeva poteva essere reinserito. Oggi non lo è più. Quindi, se non si cambia il rischio è che, poiché c’è sempre qualcuno più competitivo di un altro che era competitivo, alla fine non rimane nessuno: è esattamente la legge della giungla.
Un’accusa che – ricorda il Papa – viene spesso rivolta agli anziani è di “rubare il futuro” ai giovani…
Il problema è concreto e alimenta quella conflittualità sociale che, in certi casi, prende la forma proprio dell’odio sociale. C’è una parola greca famosa ormai anche in Italia che è aporofobia. Aporofobia vuol dire il disprezzo del diverso. In questo caso, il diverso è l’anziano che è già uscito dall’attività lavorativa. Il punto è semplice, perché è ovvio che il sistema pensionistico che abbiamo creato in Italia, come in altri Paesi dal dopoguerra a oggi, non può più reggere: è evidente che presuppone un equilibrio tra la popolazione ancora in attività e la popolazione.
E come si può modificare, secondo lei, questa dinamica?
I risultati della medicina stanno allungando – e questa è una cosa buona – la vita media. Oggi, in Italia è 83 anni, nel dopoguerra era di 60. Quindi, si è allungata di 23 anni ed è destinata ad aumentare. Ecco il punto: attivare quei progetti di longevità attiva, come io li chiamai in un saggio di circa un po’ meno di vent’anni fa, però nessuno ascoltò.
Prevale ancora un approccio, secondo me sbagliato, nei confronti degli anziani, che è l’approccio tipico compassionevole e paternalistico. L’anziano viene umiliato se non gli o non le si consente di essere ancora capace di generare valore. Quindi, la longevità attiva vuol dire che dobbiamo trovare nuove forme di attività per gli anziani, ovviamente tenendo conto delle loro condizioni.
Un’incognita è la salute…
Io che sono un super anziano, avendo quasi 82 anni, lavoro 12 ore al giorno. Il Signore mi dà la salute e io la spendo. E come me, migliaia, migliaia di altri anziani. Perché se uno è ammalato è fuori discussione, ma ammalato può esserlo anche un giovane. Quindi il punto è che dobbiamo trovare delle forme di attività lavorativa, non di tipo tradizionale in senso sindacale – questo è chiaro, perché allora sì che porterebbe via il lavoro ai giovani, che è quello che sta succedendo oggi -.
Oggi nelle imprese si invitano i pensionandi a rinviare di due o tre anni la pensione. E questo vuol dire portare via il lavoro ai giovani. Io non propongo questo. Io propongo per gli anziani, tenuto conto del loro curriculum vitae, della loro biografia, e di tanti altri aspetti, di trovare forme che esistono nelle quali loro possono essere ancora generativi, cioè generatori di valori.
Ci sono degli esempi in Italia?
Il più famoso è il Civitas vitae di Padova. È una cittadella vicino alla prima periferia di Padova, di due o tre mila persone, dove bambini, giovani, coppie sposate, anziani, portatori di handicap, vivono e ognuno dà quello che la sua condizione è in grado di fargli dare. Per cui l’anziano che è stato professore o insegnante di scuola perché non può usare il suo tempo per il cosiddetto ‘dopolavoro’, per insegnare certe attività ai ragazzi? Pensiamo agli stessi lavoratori manuali. Ci sarebbe un bisogno enorme di gente che si metta a disposizione e questo è generare valore. Allora se questo si facesse, prima l’odio scomparirebbe – perché i giovani direbbero ‘ah, vedi… dagli anziani io ottengo qualcosa’ – e quindi si metterebbe in moto il meccanismo della reciprocità. Ecco la parola magica, di cui io non sento mai parlare.
Questo avrebbe una ricaduta anche nel welfare per gli anziani…
Si dice che gli anziani vadano aiutati. È chiaro che vanno aiutati, ma in che modo vanno aiutati? Dando loro la possibilità di essere attivi. Dando loro la possibilità di sentirsi ancora validi per generare valore. E questo stimola la reciprocità. Perché nel momento in cui l’anziano fa questo, il meno anziano o il giovane reciproca – ma non scambia-. La reciprocità non è lo scambio, è un’altra cosa. In questa relazionalità che si viene a stabilire scompaiono gli odi. Invece si va avanti ancora con la politica, con quell’atteggiamento stereotipato del ‘poverino’, dell’RSA. Ma questa è una conseguenza del fatto che non si vuole cambiare la mentalità. Io ho motivo di ritenere che non ci voglia molto prima che si arrivi a questo, però bisognerebbe pensarci sin da adesso perché bisogna pensare come rendere attivi gli anziani. Non li possiamo mandare in fabbrica, non li possiamo mandare nei laboratori.
Ma il valore si crea solo nelle fabbriche, nei laboratori o negli uffici? Ecco allora la soluzione.