Bullismo, che fare? La linea linea scelta dal governo francese per contrastare il fenomeno del bullismo a scuola è quella del “pugno duro”
Bullismo e cyberbullismo sono fenomeni diffusi anche nelle nostre scuole ed è chiaro che la questione, prima delle misure repressive, chiama in causa l’efficacia delle attività educative
Immaginiamo la scena. In una classe scolastica, una prima superiore intenta a far lezione, bussano alla porta ed entra la preside, che chiede all’insegnante di far uscire un allievo, un quattordicenne. In corridoio l’aspettano due poliziotti, pronti ad arrestarlo. Lui si ribella, si dimena e finisce in manette davanti a tutta la classe.
Il quattordicenne non è propriamente un allievo modello. I media raccontano che solo qualche giorno prima avrebbe rivolto minacce molto serie contro un compagno transgender, tra cui commenti quali “ti taglieremo la gola”, oppure “quelli come te li odio… muori ammazzato”. Atteggiamenti che avrebbero fatto scattare la reazione immediata delle istituzioni – scuola e polizia – in allarme da tempo sul tema del bullismo in classe.
La scena è avvenuta in Francia e ha già suscitato numerose polemiche, in particolare da parte di genitori pronti a sottolineare che in fondo il malcapitato in manette è soltanto un ragazzino di 14 anni, anche lui da tutelare. Ma la linea linea scelta dal governo francese per contrastare il fenomeno del bullismo a scuola è proprio quella del “pugno duro”: è previsto anche il carcere fino a 10 anni, così come sono possibili multe fino a 150mila euro nel caso di suicidio o tentato suicidio della vittima di bullismo.
A noi in Italia può sembrare eccessivo. In Francia però la stretta del governo è arrivata dopo l’ennesimo episodio che ha visto una vittima 15enne di bullismo, portata al suicidio dagli atteggiamenti aggressivi e abusanti dei compagni. Nicolas, così si chiamava il ragazzino, il 5 settembre scorso è stato trovato morto impiccato nella sua camera da letto a Poissy, cittadina alle porte di Parigi. La madre ha fatto la tragica scoperta e ha denunciato gli abusi subiti dal figlio da parte dei compagni. Risultato: ha ricevuto una lettera da parte dell’amministrazione scolastica che invitava a smettere di lamentarsi e assumere invece un comportamento più costruttivo. Ne è seguito uno scandalo, che ha spinto il governo francese a misure più severe, a cominciare dal trasferimento dei bulli in altre scuole, fino all’arresto.
Evidentemente il problema è complesso. Bullismo e cyberbullismo sono fenomeni diffusi anche nelle nostre scuole ed è chiaro che la questione, prima delle misure repressive, chiama in causa l’efficacia delle attività educative. Senza tuttavia cadere nel facile semplicismo per cui basta educare per evitare il male. No, purtroppo non è così. E sicuramente un’azione ferma da parte dell’istituzione scolastica anzitutto – vigilanza, intervento, eventuale punizione – può essere validamente efficace.
Forse anche le manette francesi possono funzionare. A patto che tutte le azioni vengano contestualizzate, ben spiegate e fatte comprendere. Altrimenti è solo il messaggio della violenza a passare: quella dei bulli e anche, suo malgrado, quella della repressione pur giustificata.
Da noi è stato, ad esempio, appena rivisto il sistema del voto in condotta con l’intenzione di mitigare i cattivi comportamenti a scuola. Il ministro Valditara ha recentemente parlato anche delle sospensioni eventualmente da comminare agli studenti, accostandole ai lavori socialmente utili e soprattutto sottolineando la volontà di responsabilizzare chi sbaglia.
Questa è una buona strada. Ma è sicuramente in salita.