Attenti al Pnrr. Nell’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza siamo indietro e non ce lo possiamo permettere
Si stanno palesando ritardi preoccupanti e dalle stanze della politica è uscita per la prima volta la fatale parola “proroga”.
La Corte dei Conti ha suonato la sveglia: attenzione, nell’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (meglio noto come Pnrr) siamo indietro e non ce lo possiamo permettere. Perché l’Europa ci ha prestato i soldi – poco meno di 200 miliardi di euro a tranche, solo una parte a fondo perduto – con l’obiettivo di spenderli presto e bene. E ciò non sta accadendo.
Il governo Draghi aveva più o meno completato tutto l’iter previsto, in realtà soprattutto burocratico; ora c’è da mettere il Pnrr “a terra”, cioè farle queste benedette opere che dovrebbero traghettare l’Italia definitivamente fuori dalle secche della pandemia per strutturarla adeguatamente per il futuro.
La Corte dei Conti ha pure individuato le situazioni positive e le criticità. Tra le prime, una migliore distribuzione degli interventi rispetto al momento iniziale, quando da due-tre Regioni al vertice del Pil italiano arrivarono buona parte dei progetti cantierabili, mentre nel Mezzogiorno naufragarono rapidamente idee scarabocchiate su un tovagliolo da trattoria. Il Pnrr infatti non prevede né accetta la classica distribuzione di soldi a pioggia o i cantieri aperti e… poi vedremo: specialità tipicamente italiane.
Ora il vero problema è un altro: circa la metà delle opere passate al vaglio positivamente, devono essere realizzate dai Comuni. Che sono poco o per nulla attrezzati per farlo: mancano competenze, personale, capacità di raccordo, spesso la cultura di investire bene e pensare in grande, dopo che per troppi anni hanno solamente gestito (e con estrema fatica) l’ordinaria amministrazione.
Quindi si stanno palesando ritardi preoccupanti e dalle stanze della politica è uscita per la prima volta la fatale parola “proroga”. Che non dipende da noi ma dall’Europa. Quindi è meglio provare a correre, prima che la nostra corsa sia indirizzata al capolinea.
Qualcuno la sta buttando lì: ci vuole un super commissario dotato di super poteri. Ha funzionato durante la pandemia, dovrebbe funzionare anche questa volta, se si troveranno figure di eccellenza alle quali consentire senza troppi lacci quel che in Italia normalmente viene bloccato o rallentato da questo o quello. Lo abbiamo sperimentato con la ricostruzione del ponte Morandi a Genova, eretto in tempi in cui normalmente si discute per la prima volta al Tar il ricorso di quel concorrente escluso dall’appalto o di quell’associazione che protegge la migrazione delle starne artiche.