“Ai ragazzi interessano i soldi”. Le parole di Gratteri aprono a una riflessione più ampia
La questione non è puntare l’indice sui ragazzi che penserebbero solo ai soldi, ma su una mentalità diffusa che identifica la realizzazione di sé con il possesso
“Ai ragazzi interessano i soldi”. Così è stato sintetizzato, con una frase ad effetto il Gratteri-pensiero, dopo che il capo della Procura di Napoli, intervenendo ad un convegno su etica e giustizia, si è espresso senza mezzi termini su temi scottanti come quello dei giovani, dell’educazione, della scuola e, in buona sostanza, sulla imperante “cultura del possesso” che permea la nostra società.
Ma cosa ha detto davvero il Procuratore? Andando oltre il titolo troviamo affermazioni molto più ricche e probabilmente anche con un significato diverso da quello che viene sintetizzato in poche righe per far leggere. A proposito dei ragazzi e dei soldi, infatti, le parole riportate sono le seguenti: “Oggi ai ragazzi non bisogna parlare di etica, ma di soldi, solo così i ragazzi ti ascoltano. Bisogna loro spiegare quanto guadagna un corriere della droga, ma anche cosa rischia. Oggi non si conta in base a cosa si è, ma in base a cosa si ha: un insegnante che arriva con una vecchia Fiat Tipo a scuola è visto dai ragazzi come uno sfigato. Mentre il cafone che arriva al pub con il Suv è visto come un esempio”.
La questione, dunque, non è puntare l’indice sui ragazzi che penserebbero solo ai soldi, ma su una mentalità diffusa che identifica la realizzazione di sé con il possesso. Credo non sfugga a Gratteri quanti sono oggi – e sempre negli anni – i giovani che si muovono per passione, che vanno contro corrente, che si battono per grandi ideali. Anche nelle piccole vicende della vita quotidiana. Tuttavia pende anche su di loro il rischio di cadere nell’omologazione del pensiero, il pericolo di essere emarginati per scelte magari difficili, di essere additati nel migliore dei casi come ingenui. Perché è vero che la nostra società punta sul successo materiale e forse l’immagine del “cafone col Suv” risulta vincente.
Ma il discorso di Gratteri tocca un altro aspetto che deve far riflettere ed è quello che chiama in causa la scuola (e la famiglia). E’ lapidario il Procuratore: “C’è un decadimento tra i giovani (che non sanno scrivere neanche più in italiano), le loro famiglie (ci sono genitori che a 45 anni vogliono fare i 20enni), e la colpa è perché i governi negli ultimi 10 anni non hanno voluto investire in istruzione”.
A prescindere dal giudizio sui governi, è un fatto che il nostro investimento sull’istruzione non brilla particolarmente e nello stesso tempo è sempre più evidente come il compito della scuola sia decisivo per la formazione dei giovani e, più in generale, per la crescita della società. Fa riflettere la lettera di un’insegnante piemontese in risposta proprio a Gratteri. “È vero – scrive – che molti ragazzi pensano che l’importante sia il denaro. Ma non è colpa loro: è la società che glielo trasmette. La narrazione, ormai, è far credere che la felicità passi dall’acquisto di un certo bene”. E aggiunge: “Ma i giovani non sono tutti così: quando la scuola li accompagna ad apprezzare il sapere, i nostri studenti compiono scelte che ci stupiscono. Devono essere presi per mano, però: per questo il sistema scolastico ha un ruolo fondamentale”.
In poche parole la sostanza della questione: gli adulti e la scuola hanno una responsabilità grave. Ai ragazzi bombardati da pubblicità e messaggi omologanti, la scuola e la cultura, l’alleanza fattiva con i genitori, possono e devono porre un argine. Favorire il pensiero critico, la responsabilità, la condivisione. Alle derive del successo ad ogni costo “noi – scrive l’insegnante piemontese – rispondiamo con la storia, la letteratura, il diritto, il confronto geografico con altre parti del mondo: i nostri studenti solo così possono scoprire un mondo diverso da quello che vedono intorno a sé”.