A cento anni dal discorso di Sturzo sul Mezzogiorno: una questione tutt’ora irrisolta
A oggi, i livelli più alti di povertà si registrano proprio in queste aree della penisola; generando inevitabilmente - come ebbe da dire in modo profetico don Luigi Sturzo, il 18 gennaio 1923 a Napoli, in occasione del quarto anniversario della fondazione del Partito Popolare Italiano - una "penosa via crucis", tanto per coloro che sono costretti ad emigrare in cerca di un presente da vivere, quanto per l’economia dello stesso territorio.
La pubblicazione dell’ultimo rapporto di Oxfam, presentando un aumento delle disuguaglianze, mostra una “crescita”, se così può dirsi, di tipo monodirezionale, ossia solamente a beneficio di quei pochi che detengono la ricchezza. Di contro, i poveri, le classi intermedie, i lavoratori precari e tutti coloro che, pur avendo un’occupazione, non riescono ad arrivare alla fine del mese (è il caso dei working poor), sono discriminati, quasi “condannati” ad una condizione di miseria. “Il periodo pandemico – osserva su Avvenire il professor Flavio Felice – ha bloccato quell’ascensore sociale che consente nelle società di stampo liberale la mobilità verso posizioni più vantaggiose”.
Il dato si fa ancora più interessante se calato nel Mezzogiorno, un territorio intellettualmente e spiritualmente fertile che però è provato dalla carenza di un’occupazione dignitosa e dall’insufficienza dei servizi necessari da rendere alla persona. Ad oggi, i livelli più alti di povertà si registrano proprio in queste aree della penisola; generando inevitabilmente – come ebbe da dire in modo profetico don Luigi Sturzo, il 18 gennaio 1923 a Napoli, in occasione del quarto anniversario della fondazione del Partito Popolare Italiano – una “penosa via crucis”, tanto per coloro che sono costretti ad emigrare in cerca di un presente da vivere, quanto per l’economia dello stesso territorio.
Dopo un secolo da quell’autorevole discorso, l’impoverimento del Mezzogiorno continua ad essere una “tragedia” per il Paese: don Sturzo era fortemente convinto che, a seguito dell’unità morale e politica, ci fosse bisogno di un’unità economica, sociale, intellettuale e soprattutto solidale, capace perciò di considerare le città meridionali membra necessarie di uno stesso corpo. Negli anni si sono succeduti Governi, istituiti Ministeri, finanziati progetti, aperte ricerche… eppure la questione meridionale lacera ancora la nostra penisola.
Di certo, le condizioni di vita delle famiglie di queste aree sono di gran lunga migliorate rispetto a quelle dei tempi del fondatore del Partito Popolare Italiano: sono sorte industrie, scuole, università, centri d’eccellenza, ma la questione resta: la povertà educativa, la carenza di infrastrutture adeguate, l’inefficienza dei servizi necessari, l’arretratezza culturale e le difficoltà agricole contraddistinguono, ancora oggi, seppur in parte, questi territori.
Contro una simile situazione di impoverimento, Don Sturzo era fortemente convinto che il Meridione andasse vivificato, trasformato, modernizzato (e non standardizzato!), nella piena valorizzazione pluralista che contraddistingue ogni città, così come ogni persona che la abita. Occorre formare una coscienza pubblica, ancor prima che una strategia politica ed economica, che veda nel risorgimento del Mezzogiorno un beneficio per la comunità nazionale ed internazionale.
A conclusione di questo breve scritto, riteniamo che l’insegnamento di don Sturzo, dopo un secolo dal suo discorso sul Mezzogiorno e la politica italiana, possa essere tutt’ora valido per i nostri tempi, nella consapevolezza che il Meridione – dichiarava in maniera spietata il leader popolare – “è vivo come un’entità integrante la vita stessa nazionale”: esso è fatto di uomini e donne di buona volontà, dotati di tutte quelle capacità necessarie allo sviluppo umano ed integrale dell’intero Paese.
Antonio Zizza