Comprensione, benevolenza, gentilezza... ma quanto bene fanno?
Chiese & chiose. Sono tanti (infiniti!) i dettagli – nella vita ecclesiale, ma non solo – che fanno trasparire l'animo delle persone
Non amo i comportamenti pignoli né gli atteggiamenti pedanti, ma non riesco a tollerare la superficialità abituale che diventa cialtroneria, che per qualche sbadataggine fa saltare o rovina un importante evento e mette in difficoltà chi ha lavorato, che banalizza situazioni e occasioni ricche di valore e significato. Episodi di vario genere li possiamo avere in mente tutti: il calice che alla comunione si scopre vuoto, l’impianto audio che sabota un convegno di per sé interessante, il sale, poco o troppo, che svilisce una pietanza che si presentava appetitosa, il documento d’identità mancante all'aeroporto… Un piccolo dettaglio e... salta tutto! O comunque si complica la vita propria e altrui.
Non entro nella diatriba, più o meno teoretica ma culturalmente curiosa, riguardante i due detti contrapposti «Il diavolo è nei dettagli» e «Dio è nei dettagli», usati in occasioni diverse e con sfumature di significato che possono rivelare aspetti simpatici e interessanti. Mi limito all’ambito della mia rubrica di chiose d’ambito ecclesiale, dove i “dettagli” da considerare potrebbero comunque essere i più variegati, com’è varia la vita: come si imparano o trascurano i nomi delle persone, come si prepara la riunione del consiglio parrocchiale, come si stende (o si sventola) il corporale al momento offertoriale, come si trattano i collaboratori (fratelli o “subalterni”?), come si scelgono i canti per la celebrazione… E pure la concreta “pratica didattica” nell’iniziazione dei bambini alla messa (come far imparare le preghiere comuni senza un foglietto davanti?), la puntualità come rispetto delle persone, il «presiedere con diligenza» (Rm 12,8), l’attenzione a un decente riscaldamento della chiesa e degli ambienti parrocchiali. Situazioni, “dettagli” se volete, questi e chissà quanti altri!, che fanno trasparire l’animo delle singole persone, il modo in cui si vive un’azione (anche di grande valore, come i sacramenti), lo spirito con cui s’interpreta un ruolo o un servizio.
A questo riguardo mi piace portare l’attenzione su quello che scrive papa Francesco nella lettera Gaudete et exsultate, nel contesto della «vita comunitaria fatta di tanti piccoli dettagli quotidiani»: «Ricordiamo come Gesù invitava i suoi discepoli a fare attenzione ai particolari. Il piccolo particolare che si stava esaurendo il vino in una festa. Il piccolo particolare che mancava una pecora. Il piccolo particolare della vedova che offrì le sue due monetine. Il piccolo particolare di avere olio di riserva per le lampade se lo sposo ritarda. Il piccolo particolare di chiedere ai discepoli di vedere quanti pani avevano. Il piccolo particolare di avere un fuocherello pronto e del pesce sulla griglia mentre aspettava i discepoli all’alba» (n. 144).
Da notare che una «comunità che custodisce i piccoli particolari dell’amore», ispirata e fondata sull’esempio di Gesù, non è semplicemente gradevole, simpatica, vivibile… «è luogo della presenza del Risorto» (n. 145). È chiesa accogliente, testimoniante, probabilmente sulla strada che avvia “in uscita”.
Colgo per me – e rimbalzo a tutti – l’appello a una quotidianità virtuosa e generosa, attenta alle persone da amare almeno “come te stesso”. A partire dai rapporti familiari, che possono rischiare l’usura dell’abitudine ma anche rivelare capolavori di attenzione, dedizione reciproca, unione dei cuori. E senza trascurare situazioni e ambienti di lavoro, le relazioni sociali (obbligate e gratuite), con le opportunità – e a volte la necessità – di prendersi cura delle persone, specie in qualche situazione difficile di contrasti e di malattia; oppure dopo un lutto: quando muore il primo dei genitori, raccomando sempre ai figli «prenditi cura della mamma/papà». Declinando nel quotidiano parole come comprensione, benevolenza, gentilezza… si possono avere tanti dettagli positivi, di bene, di cura affettuosa e accoglienza cordiale.
Con un’avvertenza finale. Senza la superbia di chi si sente superiore agli altri e “si degna” di andare incontro e prestare un servizio. Senza perfezionismi, che inquinano la serenità: meglio l’animo leggero, che non vuol dire superficiale ma interiormente libero e grato. E magari sorridente.