Usa: il governo resiste alla richiesta di regolamentare il commercio di armi. Anche la Chiesa si muove
Se da una parte il governo federale è bloccato, dall’altra non lo sono gli Stati. Il governatore della Florida, Rick Scott, subito dopo la sparatoria di Parkland ha firmato una legge che innalza a 21 anni l’età per l’acquisto di un fucile e ha introdotto tre giorni di controlli dall’acquisto di un arma fino al momento del possesso
(da New York) A due settimane dalla “Marcia per le nostre vite” organizzata dagli studenti sopravvissuti alla sparatoria del 14 febbraio nella scuola di Parkland in Florida, Washington sembra voler dimenticare quel mezzo milione di giovani, famiglie e insegnanti che per un’intera giornata hanno marciato sulle sue strade per chiedere una riforma della legge sulle armi. E non sembra nemmeno voler tener conto delle altre 800 manifestazioni che in tutto il Paese e all’estero hanno ripetuto: “Adesso basta”.
Il progetto STOP School Violence Act, approvato dal Congresso con l’obiettivo di investire in formazione per aiutare le scuole ad identificare meglio le possibili minacce armate, è un segnale giudicato troppo timido dall’opinione pubblica, in primis per la scarsità di finanziamenti e poi perché tra i proponenti della legge c’è il senatore repubblicano Dean Heller. Secondo Opensecrets.com, il centro di analisi dei finanziamenti delle campagne elettorali, Heller ha ricevuto ben oltre 125mila dollari di contributi diretti e indiretti dalla National Rifle Association (Nra), la potente lobby delle armi, e i suoi disegni di legge sono fortemente condizionati da questi finanziamenti. I centri per la prevenzione delle malattie mentali hanno ricevuto mandato presidenziale di condurre ricerche sulle cause della violenza armata, ma intanto non è stato varato alcun piano di finanziamento degli studi, poichè sempre la Nra li giudica “stanziamenti a sostegno e promozione di norme sul controllo delle armi”.
Sono questi veti incrociati che di fatto rendono difficilissimo un cambiamento legislativo, nonostante il 78% degli statunitensi, secondo un sondaggio della Npr, la radio pubblica nazionale, sia favorevole e il 63% lo consideri tema centrale della prossima campagna elettorale.
Se da una parte il governo federale è bloccato, dall’altra non lo sono gli Stati. Il governatore della Florida, Rick Scott, subito dopo la sparatoria di Parkland ha firmato una legge che innalza a 21 anni l’età per l’acquisto di un fucile e ha introdotto tre giorni di controlli dall’acquisto di un arma fino al momento del possesso. Intanto Raul Valdes-Fauli, sindaco del sobborgo di Miami Coral Gables, ha proposto una legge che vieti la vendita di fucili semiautomatici ad alta velocità, ma purtroppo la norma è rimasta in vigore solo tre settimane perché alcuni dei votanti si sono tirati indietro accusando il primo cittadino di voler scavalcare una legge federale e di rendere la città suscettibile alle sanzioni del governo centrale. Valdes-Fauli ha deciso di non cedere alle minacce di chi gli annuncia che dovrà pagare le spese processuali per intero perché disobbediente; al contrario, si è unito ai sindaci di altre otto città vicine chiedendo che i governi locali abbiano voce in capitolo nella regolamentazione delle armi.
“Al momento un sindaco non può neppure affiggere un cartello in un edificio pubblico o in un parco per ribadire la proibizione di portare armi mentre si sbrigano affari o si passeggia”, spiega Daniel Stermer, primo cittadino di Weston, anche lui nella rete degli amministratori. Le sanzioni imputate alle realtà locali che cercano di scuotere lo status quo sulle armi risalgono al 2011 e vennero scritte anche con la partecipazione diretta di rappresentanti della Nra. Il movimento dei sindaci della Florida non è il solo, perché l’associazione Everytown for GunSafety voluta dagli ex sindaci di New York e Boston, Michael Bloomberg e Thomas Menino, conta oggi l’adesione di oltre mille tra sindaci in carica ed ex che chiedono leggi per la difesa della vita e una seria regolamentazione delle armi da fuoco. Al movimento aderiscono anche madri, sopravvissuti alle sparatorie, insegnanti, poliziotti, possessori di armi che con insistenza chiedono di porre fine alla violenza armata e di costruire comunità sicure.
Intanto la California, il Connecticut, l’Indiana, l’Oregon e lo Stato di Washington hanno adottato norme che autorizzano i giudici ad emettere ordini di confisca di pistole e fucili a persone ritenute un rischio per sé e per gli altri. Note come “leggi della bandiera rossa”, queste limitazioni si sono rivelate efficaci e utili poiché non violano il secondo emendamento sul possesso delle armi e al contempo proteggono la popolazione: è stato infatti sottolineato dal centro sulla prevenzione della violenza Brady, che il 42 per cento degli autori di stragi aveva manifestato chiari segni di instabilità.
Dopo la sparatoria a Parkland, Alabama, Kentucky, Pennsylvania, Rhode Island e Utah hanno adottato questi procedimenti e altri 19 Stati stanno seriamente prendendo in considerazione di aderirvi. Nell’attesa che il Congresso finanzi le decisioni di questi Stati o che emetta una norma federale che estenda il procedimento a tutto il Paese, la mobilitazione degli amministratori locali e delle corti statali è ampia.
Anche la Chiesa, dopo i diversi pronunciamenti emessi a ridosso delle marce e durante il processo legislativo sulla riforma, comincia a considerare la possibilità di rivitalizzare campagne come quella condotta negli anni ’80 da David Russell, un sacerdote della diocesi di Miami che depose sull’altare la sua pistola e invitò i parrocchiani a fare lo stesso con le proprie armi, ricordando a tutti che Gesù aveva detto al suo discepolo di non usare le armi, pur in un momento drammatico come quello del tradimento di Giuda. Anche nel 2012 una parrocchia dell’arcidiocesi di Detroit ha sponsorizzato un programma di riacquisto delle armi che ha fruttato la consegna di 365 fucili, tra cui sei d’assalto e una manciata a canne mozze, per un valore di circa 16mila dollari. “Sono gesti drammatici”, ha detto l’arcivescovo di Miami Thomas Wenski, intervistato da National Catholic Reporter. “Forse dovremmo fare qualcosa del genere”. A chi gli rimprovera che i vescovi non hanno promosso iniziative pari alla lotta contro l’aborto e a favore dell’immigrazione, mons. Wenski risponde che è un tema complesso perché “la gente che vive in campagna ha la necessità di proteggersi, ma anche con loro lavoriamo perché ci sia maggiore controllo nella vendita e nell’utilizzo, mentre offriamo il nostro sostegno alle leggi restrittive sul possesso di armi da fuoco e critichiamo qualunque norma che voglia armare gli insegnanti”.