Siamo un paese ancora diviso a metà
L’Italia a due velocità, con troppe disuguaglianze fra territori e cittadini, fotografata dal rapporto dell’Osservatorio nazionale dell’Università Cattolica sulla salute.
Istituito nel 1978 con l’obiettivo di tutelare la salute come diritto fondamentale dell’individuo e della collettività e di superare gli squilibri territoriali nel Paese, il Servizio sanitario nazionale non è tuttavia ancora riuscito ad assicurare una sostanziale equità tra i cittadini.
«Troppe e troppo marcate sono le differenze regionali e sociali, sia per quanto riguarda l’aspettativa di vita sia per la presenza di malattie croniche», afferma presentando i dati del focus 2017 sulle disuguaglianze sanitarie Alessandro Solipaca, direttore scientifico dell’Osservatorio nazionale della salute che da 16 anni mette a confronto i dati delle regioni italiane.
In Italia si vive più a lungo secondo il luogo di residenza o il livello d’istruzione, rivela lo studio.
Hanno una speranza di vita più bassa le persone che nascono al Sud o che non raggiungono la laurea. In Campania, in particolare, nel 2017 gli uomini vivono mediamente 78,9 anni e le donne 83,3; nella Provincia autonoma di Trento 81,6 anni gli uomini e 86,3 le donne. In generale, la maggiore sopravvivenza si registra nelle regioni del Nordest (rispettivamente 81,2 e 85,6 anni).
Oltre alle disuguaglianze territoriali, anche il livello di istruzione e di condizioni sociali incide sulla speranza di vita.
Ed è l’obesità, uno dei più importanti fattori di rischio, a dimostrare quanto gli aspetti economici e culturali influenzino stili di vita e salute delle future generazioni. L’obesità interessa infatti il 14,5 per cento delle persone con titolo di studio basso e solo il 6 per cento dei più istruiti.
Alle disuguaglianze di salute si affiancano quelle di accesso all’assistenza sanitaria pubblica: rinunce alle cure e prestazioni sanitarie a causa della distanza delle strutture, delle lunghe file d’attesa e dell’impossibilità di pagare il ticket. Tra i 45-64 anni le rinunce ad almeno una prestazione sanitaria sono pari al 12 per cento tra coloro che hanno completato le scuole dell’obbligo e al 7 tra i laureati. La rinuncia per motivi economici è pari tra i primi al 69 per cento, mentre tra i laureati è del 34.
Per gli autori dello studio, la sfida del Servizio sanitario nazionale sarà contrastare queste persistenti disuguaglianze con interventi e politiche urgenti.
Il tema si intreccia naturalmente con quello della sostenibilità economica e le soluzioni che circolano poggiano sull’ingresso dei fondi sanitari privati in grado di affiancare lo Stato per questa importante funzione. Tuttavia – mette in guardia l’Osservatorio – l’introduzione di fondi sanitari di natura sostitutiva, sia pure in parte, del sistema pubblico potrebbe acuire le forti disuguaglianze sociali di cui già soffre il settore.
Per gli autori della ricerca gli attuali divari sociali potrebbero far vacillare il principio di solidarietà che ispira il nostro welfare, contrapponendo gli interessi di fasce di popolazione insofferenti per la crescente pressione fiscale, a quelli delle fasce sociali più deboli.
Per questo, secondo l’Osservatorio, «sarebbe auspicabile rivedere i criteri di esenzione dalla compartecipazione alla spesa sanitaria e di accesso alle cure e intensificare gli sforzi per combattere l’elevata evasione fiscale che attanaglia il nostro Paese e mina la sostenibilità dell’intero sistema di welfare state».
Una cosa rimane però sicura: il nostro servizio sanitario, nonostante i problemi, resta comunque uno dei più efficaci in Europa.
Di qui la necessità di attuare tutti gli sforzi possibili per preservarlo, primo passo per sperare di renderlo ancor più equo e sostenibile.