La sanità vale oro, ma rischia il declino
Definito l’accordo sulla collocazione del nuovo ospedale cittadino, rimane però aperto più di un interrogativo sul futuro di un comparto che per la città vale oltre un miliardo di euro l’anno e che è rimasta l’unica vera “grande fabbrica” padovana sopravvissuta alla crisi. Ma dopo Verona, ora anche Treviso cerca di sfruttare a suo vantaggio una paralisi di anni.
Forse, è sintomatico che da decenni il dibattito sulla salute pubblica sia stato monopolizzato dall’infinita diatriba sul nuovo ospedale. Indipendentemente dall’esito, urbanistico e non, del progetto del nuovo ospedale, la sostanza appare nitidamente di ben altro genere, eppure continua a passare sotto silenzio anche in termini di informazione di pubblico dominio. Vale la pena qui richiamare all’attenzione quanto meno tre questioni cruciali, più che interessanti, da mantenere sotto i riflettori.
La prima è… contabile.
Nel 2016 (bilanci ufficiali di Usl 6 e Azienda ospedaliera alla mano) il servizio sanitario nazionale a Padova equivaleva a 1 miliardo 45 milioni 379 mila 808 euro di valore della produzione. Una cifra che traduce bene il significato della vera Grande Fabbrica, sopravvissuta alla consunzione della vecchia zona industriale. Più della metà (oltre 581 milioni) è prodotta dall’Azienda di via Giustiniani, mentre nell’Usl la voce “sociale” incide per 14,6 milioni sui complessivi 449,3 del fatturato annuale. A nessuno, davvero, interessa un’analisi approfondita dei numeri in dettaglio?
La seconda notizia arriva dal Bo.
Protocollato con il numero 389530/2016, è da poco stato varato dal consiglio di amministrazione dell’università lo schema di intesa con la regione che disciplina «l’apporto della Scuola di medicina e chirurgia alle attività assistenziali del servizio sanitario regionale» in 22 articoli e 18 pagine. Un documento tutt’altro che insignificante. E nella deliberazione, per di più, si può leggere nero su bianco che finora i rapporti dell’ateneo con la sanità pubblica sono stati sempre regolati dalla convenzione datata 1991. E non basta, perché dal 30 gennaio 2006 il “Protocollo fra regione e le università di Padova e Verona” da noi è rimasto lettera morta, al contrario di Verona dove opera l’Azienda integrata fra ospedali cittadini e ateneo. A proposito di eccellenza, perché non si attribuiscono mai le responsabilità di una simile dissennata indifferenza gestionale?
Infine, un dubbio.
Se il miglior nuovo ospedale possibile e immaginabile richiede – tecnicamente – almeno altri dieci anni di “cantiere”, nel frattempo come si pianifica – concretamente – la garanzia di continuità nelle cure, nell’assistenza, nei servizi?
La “Fabbrica di Padova” rischia, eccome, di perdere altri pezzi e scivolare inesorabilmente verso il definitivo declino.
Dopo Verona, addirittura a vantaggio di Treviso che continua a coltivare ambizioni per Ca’ Foncello già clinicizzato… dal Bo. Senza dimenticare mai il livello essenziale dei servizi: nell’eterno limbo chi già paga sono i pazienti dentro e fuori i reparti, a cominciare dall’assistenza territoriale. Forse, è il momento di curarci più e meglio, tutti insieme, del futuro imminente della nostra salute…