Si chiude l’era dell’Ilva, da oggi Arcelor Mittal. Il piano di rilancio e i punti interrogativi
A cinque anni dal sequestro dell’area a caldo, Ilva torna ad essere di privati e cambia nome: Arcelor Mittal Italia. Tocca al colosso mondiale dell’acciaio provare a rimettere in piedi una fabbrica che nello stabilimento di Taranto risente di anni di mancate manutenzioni e continua a produrre un inquinamento divenuto insostenibile
Dallo Stato negli anni ‘60, alla famiglia Riva ai primi ‘90, fino al commissariamento del 2012 per disastro ambientale. Ora, a cinque anni dal sequestro dell’area a caldo (ancora con i sigilli, anche se con facoltà d’uso, ndr), Ilva torna ad essere di privati e cambia nome: Arcelor Mittal Italia. Tocca al colosso mondiale dell’acciaio provare a rimettere in piedi una fabbrica che nello stabilimento di Taranto risente di anni di mancate manutenzioni e continua a produrre un inquinamento divenuto insostenibile.
“Sicurezza, salute e lavoro” sono le parole chiave con cui Matthieu Jehl, amministratore delegato dell’area Italia, n. 2 di Arcelor Mittal, ha descritto il nuovo corso. “Non vale la pena produrre una tonnellata di acciaio se non si torna a casa in salute e questo lo facciamo solo con formazione, monitoraggio ed organizzazione. L’obiettivo è far diventare Arcelor Mittal Italia la referente su sicurezza e lavoro per tutto il gruppo, a livello europeo”, ha rimarcato.
Il piano ambientale. “Di un investimento di 2.4 miliardi di euro, circa la metà, 1.15 miliardi, sarà destinato all’ambiente”, spiegano da Arcelor. “Trecento miliardi saranno impiegati per la copertura dei due parchi di materie prime”, il cui spolverio attualmente finisce dritto al quartiere Tamburi “anticipando i tempi del dpcm 2017 per quanto concerne la realizzazione: il primo entro fine 2019, il secondo per maggio 2020”. “Punteremo sulla riduzione di emissioni diffuse e canalizzate, utilizzeremo nuovi filtri per gli impianti di agglomerazione – sottolinea Marc Vereecke, coordinatore dei piani di investimento di Arcelor Mittal – con una riduzione del 30% delle polveri per la prima linea dell’impianto (entro il 31 marzo 2021) e del 50%, per la seconda (entro il 30 settembre 2022). Attueremo il revamp delle cokerie con le tecnologie migliori di sempre”. “Abbiamo inviato a Taranto – racconta Cristina Moro Marcos, manager Regulations e Technology – una centrale pilota e costruiremo un nuovo impianto best in class per il trattamento delle acque e ridurremo il consumo di acqua del mare di Taranto”. “È il piano ambientale più ambizioso di sempre”, sottolinea l’ad Matthieu Jehl.
Non la pensa così Legambiente, che chiede al Parlamento l’introduzione della Valutazione Integrata dell’Impatto ambientale e sanitario anche per l’ormai ex Ilva di Taranto. Uno strumento che permetterebbe di prevenire i danni alla salute.
“Continuiamo a ritenere indispensabile – denunciano dal circolo di Taranto – la valutazione preventiva dell’impatto sanitario, per la configurazione produttiva che Mittal vuole realizzare. Se l’azienda è così sicura degli impatti positivi che avranno le sue tecnologie su ambiente e salute, dia l’assenso per fare la Valutazione preventiva.
E al ministro dell’Ambiente Sergio Costa, che continua a non risponderci, continuiamo a chiedere che, indipendentemente dal parere di Arcelor Mittal, proceda autonomamente a far partire questa valutazione, che è l’unica che può dare certezze ai lavoratori ed ai cittadini di Taranto”.
Il piano industriale. “Arrivare a 6 tonnellate l’anno di prodotto è una sfida. Spenderemo tanti milioni di euro – affferma l’ad dell’ex Ilva oggi Arcelor Mittal Italia – per la manutenzione degli impianti che negli ultimi anni non è stata fatta. 10 milioni di euro serviranno per un Centro di ricerca e sviluppo che nascerà sul territorio, in sinergia con l’università e darà lavoro a 20 ricercatori”. E sui profitti l’amministratore delegato di Arcelor Mittal non nasconde che “ad oggi il gap è notevole ma abbiamo il potenziale per migliorare i risultati.
È importante fare soldi subito.
L’ambizione è produrre in Italia l’acciaio di cui il Paese ha bisogno e venderlo qui prima che altrove”. Per raggiungere questi obiettivi, secondo l’intesa stipulata con i sindacati il 6 settembre scorso, nello stabilimento di Taranto sono stati riassunti 8.200 lavoratori. La cassaintegrazione a zero ore fino al 2023, invece, è prevista per 2.586. In tutto 10.700 dipendenti sono passati da Ilva ad Arcelor. Negli scorsi giorni ciascuno di loro ha ricevuto una email dall’azienda, per sapere se rientrava nei nuovi assunti o nella cigs. E molti tra i più attivi nelle rivendicazioni in fabbrica, appartenenti sia al sindacato che ai movimenti civici dal basso, sarebbero stati messi in cigs. Da qui il confronto di ieri sera al Mise tra proprietà ed rsu. “Durante l’incontro – spiega Valerio D’Alò, segretario generale della Fim Cisl di Taranto/Brindisi – l’azienda ha illustrato ai sindacati le modalità con cui è stata effettuata la selezione del personale. Abbiamo chiesto ad Arcelor, così come già avvenuto durante la trattativa, di mostrarci un quadro dettagliato, sito per sito, relativamente all’organizzazione del lavoro in base alle postazioni. Abbiamo ricevuto disponibilità, fin da subito, dall’azienda ad esaminare ogni caso, con una serie di incontri nei vari siti. Riunioni che coinvolgeranno le rsu”.
Marina Luzzi