Prevenzione suicidio. Gatta: “Negli adolescenti non trascurare i segnali, anche sfumati, di sofferenza”
La neuropsichiatra infantile, che partecipa all’evento promosso da Telefono Amico Italia “La tua vita conta”, evidenzia come la pandemia, soprattutto nella seconda ondata, abbia comportato un aumento di problematiche legate alla salute mentale e in particolare all’autolesionismo
Ogni anno il 10 settembre si celebra la Giornata mondiale per la prevenzione del suicidio. Ogni anno per questo drammatico fenomeno muoiono oltre 700mila persone. Per la ricorrenza l’organizzazione di volontariato Telefono Amico Italia organizza l’evento virtuale di sensibilizzazione “La tua vita conta”, alle 18.30 in diretta sulla sua pagina Facebook, ed evidenzia che, nel secondo anno di pandemia, sono cresciute le richieste d’aiuto legate al suicidio ricevute attraverso i tre servizi che mette a disposizione: il numero unico 02 2327 2327, la chat WhatsApp al 324 011 7252 e Mail@mica, attraverso la compilazione di un form anonimo sul sito www.telefonoamico.it. In particolare,
nella prima metà del 2021 sono state quasi 3mila le persone che si sono rivolte a Telefono Amico Italia perché attraversate dal pensiero del suicidio o preoccupate per il possibile suicidio di un proprio caro, quasi il triplo rispetto alle segnalazioni del periodo pre Covid.
I dati raccolti dall’organizzazione rivelano, inoltre, una tendenza al peggioramento con il protrarsi dell’emergenza Covid-19: confrontando il primo semestre del 2020 e quello del 2021 emerge, infatti, un aumento percentuale delle segnalazioni legate al suicidio di oltre il 50%. Anche nella fascia d’età giovanile si è registrato un preoccupante aumento delle richieste d’aiuto. All’incontro su Facebook interverrà Michela Gatta, direttrice dell’Unità operativa di Neuropsichiatra infantile dell’Azienda Ospedale-Università di Padova. L’abbiamo intervistata.
Telefono Amico ha riscontrato un aumento addirittura triplicato di richieste di aiuto tra il periodo pre Covid e oggi…
C’è un trend in aumento negli ultimi anni di problematiche legate alla salute mentale e in particolare all’autolesionismo anche suicidario. Negli ultimi 18 mesi abbiamo visto in modo particolare queste situazioni anche in età infantile, ma soprattutto adolescenziale. Nella nostra realtà padovana – siamo un servizio di neuropsichiatria ospedaliero con ricoveri per casi gravi – si è registrato un aumento delle situazioni di autolesionismo, suicidario e non.
Soprattutto con la seconda ondata della pandemia, da settembre-ottobre 2020, abbiamo visto sia tentativi di suicidio sia ideazione suicidaria, cioè molti ragazzi che pensano alla possibilità di porre termine alla sofferenza con il suicidio. Per questa seconda categoria l’intervento preventivo è importante per interrompere il processo che passa dall’idea all’atto.
Lei diceva che c’era già un aumento di casi prima del Covid, poi aggravato dalla pandemia… Cosa fa crescere il malessere?
Sono fenomeni con una causa multifattoriale: sono aspetti che hanno a che fare con caratteristiche individuali, di fragilità piuttosto che di resilienza, con la famiglia, la scuola, ma anche con gli ambienti di vita extra familiare che il bambino e l’adolescente frequenta. L’integrarsi di tutti questi aspetti individuali, ma anche di tipo genetico, biologico, ambientali ed esperienziali può portare a delle situazioni in cui la persona sperimenta una condizione di stress, di ansia, di alterazione del tono dell’umore, di difficoltà a gestire i propri comportamenti, ad adattarsi e a corrispondere alle richieste dell’ambiente, della famiglia, della scuola, nell’ambito sportivo.
Quando il malessere diventa una sofferenza psichica insopportabile, rispetto alla quale ci si sente senza possibili soluzioni e convinti che nessuno può dare un aiuto, si può arrivare a pensare, paradossalmente, alla morte come a una soluzione.
In che modo il Covid ha influito negativamente per i ragazzi?
Un ragazzo in crescita ha bisogno delle relazioni con i pari e gli adulti significativi nel suo percorso di crescita e di evoluzione psicofisica. Quindi, l’isolamento a casa, il non potersi relazione più con i pari, la scuola chiusa, il non avere più contatti con gli insegnanti e i compagni di classe, il venir meno di una serie di attività extrascolastiche hanno modificato la routine quotidiana e settimanale. Anche in storie e situazioni diverse, ciò ha prodotto una condizione di insicurezza, di precarietà, di incertezza, che negli ultimi 18 mesi sta caratterizzando la vita di tutti, piccoli e grandi: non si sa cosa ci riserva il futuro, né c’è la possibilità di fare un progetto a lungo termine, per non parlare degli aspetti di ansia, preoccupazione e stress per chi ha vissuto da vicino l’esperienza del Covid, personalmente o con i propri cari, ma anche per chi indirettamente ne ha risentito a causa della perdita del lavoro o di difficoltà economiche.
Moltissimi ragazzi, che sono venuti da noi nell’ultimo periodo, hanno indicato nella solitudine un elemento di sofferenza e difficoltà.
Si sono ritrovati, infatti, senza il sostegno dei pari ma anche senza la consueta disponibilità, la partecipazione, l’ascolto degli adulti – genitori, insegnanti, educatori -, che pure hanno risentito dello stress causato dalla pandemia. Il Covid, poi, ha aggravato ulteriormente la condizione di coloro che già partivano svantaggiati per una maggiore fragilità e vulnerabilità.
Quali sono i segnali di un malessere intollerabile per un adolescente che devono preoccupare?
Non esistono dei “sintomi” specifici. Se il ragazzo non verbalizza chiaramente un’intenzione suicidaria – raramente avviene che ne parli esplicitamente -,
bisogna cercare di cogliere l’eventualità di una sofferenza di fronte a cambiamenti affettivo-comportamentali, soprattutto chiusura e ritiro; verbalizzazioni di autosvalutazione e negativismo estremi; demotivazione e disinvestimento da attività, oggetti, persone care su cui solitamente si investe emotivamente.
Chiaramente ci allertiamo nel momento in cui ci sono manifestazioni di autolesionismo della superfice corporea che magari non sono poste in essere con intento suicidario ma che sono correlate una possibile evoluzione in comportamenti di tipo suicidario. Se questi elementi anche in forma sfumata si trovano tra loro associati – perché il singolo comportamento può essere interpretato come un elemento adolescenziale, temporaneo, una difficoltà legata a un periodo di prova come l’attuale –, occorre dare, innanzitutto, la possibilità di parlare di questo tipo di vissuti, preoccupazioni, idee.
E in che altro modo si possono aiutare i ragazzi che manifestano questi “segnali” di preoccupazione?
C’è un livello di aiuto che può essere fornito dalla famiglia e dagli amici: la rete sociale che è intorno al ragazzo può aiutare a non farlo sentire solo e a mostrargli che c’è una possibilità di aiuto e di soluzioni alternative e valide alla morte.
Molte volte sono persone molto disperate. Si tratta, allora, di capire se può essere utile un intervento specialistico, con un supporto medico e psicologico.
In questo caso il familiare o l’amico deve cercare di avvicinare il ragazzo in difficoltà a chi lo può aiutare in modo professionale.
I ragazzi che si trovano nella fase più critica accettano questo percorso?
C’è chi lo accetta, chi riesce a chiederlo direttamente, c’è chi lo rifiuta, chi se ne vergogna, chi fa fatica ad accedere a questa dimensione per motivi legati al pregiudizio e allo stigma e chi è talmente disperato che non ha fiducia nella possibilità di essere aiutato. Le situazioni possono essere molto diverse, ma è importante prendersi la responsabilità di chiedere un aiuto specialistico, anche se ci fosse una resistenza assoluta da parte dell’adolescente.