Più esclusione e meno nascite: calano i migranti regolari in Italia
I dati del dossier immigrazione Idos. Il numero dei residenti stranieri (5.013.200 a fine anno, l’8,5% dell’intera popolazione residente) registra il calo annuo più consistente degli ultimi 20 anni (-26.400 e -0,5% rispetto al 2019)
Le stringenti misure di contrasto alla diffusione del Covid- 19 hanno provocato uno sconvolgimento del panorama migratorio anche in Italia: gli oltre 2 mesi di lockdown, i blocchi e le restrizioni alla mobilità, l’interruzione di molte attività economiche e commerciali, la sospensione delle prestazioni in presenza da parte di diversi servizi pubblici (compresi quelli per l’espletamento delle pratiche sui permessi di soggiorno), insieme alle rigide misure di “distanziamento sociale”, non solo hanno inciso profondamente sul quadro demografico, ma hanno avuto anche ricadute estremamente critiche sulle condizioni di vita e sull’inserimento sociale e occupazionale delle persone più vulnerabili, tra cui gli stessi immigrati. Lo dice il 31esimo dossier Immigrazione, a cura di Idos in collaborazione con Confronti e Istituto studi politici San Pio V.
Complice la pandemia, nel 2020 l’Italia non solo ha conosciuto, per il secondo anno consecutivo, il numero di nascite in assoluto più basso dall’Unità d’Italia (404.000: -16.000 rispetto al precedente record negativo del 2019), ma ha registrato anche un numero di decessi paragonabili a quelli dell’immediato dopoguerra (746.000: ben 111.700 in più rispetto al 2019). In tal modo il rapporto nati/morti è precipitato a 54 ogni 100, segnando un saldo negativo di ben 342.000 unità e determinando un ulteriore pesante aggravamento della già cronica diminuzione della popolazione del Paese. Se poi si considera che anche il saldo migratorio con l’estero è stato negativo di circa 42.000 unità (eccedenza di espatri rispetto agli ingressi), l’Italia ha accusato una perdita netta di popolazione complessiva pari a ben 384.000 unità in un solo anno.
In questo quadro demografico, tutt’altro che confortante, anche il numero dei residenti stranieri (5.013.200 a fine anno, l’8,5% dell’intera popolazione residente) registra il calo annuo più consistente degli ultimi 20 anni (-26.400 e -0,5% rispetto al 2019). Hanno concorso a questa diminuzione diversi fattori: in primo luogo, anche tra la popolazione straniera si registra sia una diminuzione dei nuovi nati (59.400: -3.500 e -5,6% rispetto al 2019), che comunque continuano a incidere per un settimo (14,7%) sul totale delle nascite nell’anno, sia un incremento dei morti (9.300: +1.900 e +25,5% rispetto al 2019). Ma soprattutto si è registrato – a causa dei blocchi della mobilità internazionale – un notevole calo sia degli ingressi di stranieri in Italia (177.300 nuove iscrizioni anagrafiche dall’estero: -33,0% e -87.300 rispetto all’anno precedente), sia dei loro trasferimenti oltreconfine, per rimpatri o migrazioni in altri Paesi (29.700 cancellazioni anagrafiche per l’estero: -27.800 e -48,4% annui).
Così, nonostante tra i cittadini stranieri, al contrario degli italiani, restino positivi tanto il saldo naturale (eccedenza dei nati sui morti per 50.000 unità) quanto quello migratorio (eccedenza degli ingressi sugli espatri per 147.600 unità), l’immigrazione non è bastata ad attenuare il declino demografico del Paese nell’anno della pandemia. Se a tutto ciò si aggiungono anche le 132.700 acquisizioni di cittadinanza italiana avvenute nel 2020 (+5.700 rispetto al 2019), si completa il quadro dei fattori che hanno determinato il calo della popolazione straniera residente in Italia. Un calo particolarmente consistente soprattutto tra i soggiornanti non comunitari, che già nel 2019 avevano conosciuto una diminuzione annua di ben 101.600 unità (-2,7%) e che nel 2020 sono precipitati a 3.374.000: -242.000 e -6,7% rispetto al 2019 e addirittura -344.000 e -9,2% rispetto al 2018.
In particolare, il decremento dei soggiornanti “a termine” sembra riconducibile in parte alla diminuzione dei nuovi ingressi dall’estero e, in parte, a un loro scivolamento nell’irregolarità. Infatti, se da una parte nel 2020 vi è stato un vero e proprio crollo numerico sia delle domande di visto d’ingresso (411.531: -81,2% annuo) sia dei non comunitari che per la prima volta hanno ricevuto un permesso di soggiorno (106.503: -70.751 e -39,9% rispetto al 2019), d’altra parte la persistente vigenza, lungo tutto l’anno, delle rigide norme del primo “Decreto Salvini” (tra cui l’abolizione del permesso per motivi umanitari, sostituito con permessi “speciali” più restrittivi e temporanei, e la lievitazione dei costi per le pratiche burocratiche), abbinata alle criticità sociali, economico-occupazionali e amministrative indotte dal Covid, ha concorso a rendere drasticamente più labile il già precario status giuridico dei non comunitari.
A tal riguardo, un’attenzione specifica meritano i 163.700 richiedenti asilo e i titolari di una forma di protezione, anch’essi diminuiti in un anno di 56.500 unità (-25,7%) e a un’incidenza del 12,0% su tutti i soggiornanti a termine (era del 14,1% l’anno precedente), del 4,9% su tutti i non comunitari regolari (era del 6,1%) e di appena il 3 per mille sull’intera popolazione del Paese (contro una media Ue dell’8 per mille). Considerando che nel corso del 2020 gli arrivi lungo la rotta del Mediterraneo centrale, principale via di ingresso per i migranti forzati, sono triplicati rispetto al 2019 (da 11.471 a 34.154, di cui 4.687 – il 13,7% – minori non accompagnati), è ragionevole supporre che il notevole calo dei titolari di un permesso per protezione o richiesta di asilo sia dovuto, oltre che alle maggiori difficoltà di presentare domanda d’asilo presso le Questure per la ridotta attività degli uffici durante l’emergenza Covid, anche all’aumentata quota di quanti, tra quelli già presenti in Italia, sono divenuti irregolari.