Padre De Guidi racconta la rinascita degli sfollati di Cabo Delgado
Nella città di Nampula, in Mozambico, tra il 2019 e il 2021 sono arrivati oltre 12mila sfollati interni fuggiti dalla guerra di Cabo Delgado. Padre Davide De Guidi ha accolto e sfamato centinaia di famiglie arrivate a piedi dal Nord del Paese
“Un missionario è sempre alla ricerca di Dio e lo trova nel suo popolo, perché è lì che incontra i testimoni e i profeti”. Padre Davide De Guidi, comboniano a Nampula, in Mozambico, non ha alcun dubbio sul fatto che i veri profeti siano i reietti della storia. E spiega a suo modo lo slogan della Giornata missionaria mondiale di quest’anno.
“I testimoni per noi – dice – sono quelle famiglie povere, quelle donne, e quei giovani che fuggono dalla guerra e che abbiamo accolto in parrocchia; amano la vita anche nella peggior situazione. Hanno perso la casa, gli affetti, la terra eppure riescono a guardare al futuro con occhi nuovi”. Cacciati a colpi di machete e fucile dalle loro case sulla costa dell’Oceano Indiano (dove le decine di giacimenti di gas naturale interessano molto i miliziani), gli abitanti di Cabo Delgado si incolonnavano a piedi nella boscaglia e lungo le strade sterrate. Dopo giorni di cammino arrivavano nella grande città.
“Giunti a Nampula sapevano che lì c’era un posto che li avrebbe accolti. Si dava loro farina, fagioli, coperte, stuoie, sapone. Anche la popolazione li accoglieva nelle proprie case. Si è vissuta una risurrezione!», dice il comboniano. Intervistato da Missio per la realizzazione dei video per l’Ottobre missionario, (“Testimoni e Profeti”), padre Davide testimonia l’immensa sfida accettata da una parrocchia di periferia.
Il Nord del Mozambico dal 2017 è stato messo a ferro e fuoco da gruppi armati che si definiscono jihadisti e che in realtà vogliono solo occupare quelle coste ricchissime. La violenza si è intensificata nel 2020 e durante i primi mesi del 2021.
“Abbiamo accolto circa 12mila sfollati su 800mila che ancora continuano ad arrivare”, ricorda. Padre Davide racconta i mesi più intensi di questa fuga da un conflitto che nessuno più definisce “guerra di religione”. “Avevano perso beni e famigliari: in loro vedevamo un Cristo sofferente che diceva ‘sono qua e voglio fare ancora l’esperienza della risurrezione attraverso di the’. Abbiamo cercato di condividere quello che avevamo”.
Parlando del suo essere missionario dice: “quando andiamo in missione non portiamo noi qualcosa di nuovo, ma scopriamo insieme a loro quel che Dio fa di nuovo. Ho incontrato tante persone che mi hanno dato uno sguardo diverso sulle cose: è così che la missione entra nel tuo cuore in qualunque luogo tu sia”. La vita è bella “quando accetti di giocartela per il Signore e i fratelli”.
Un messaggio ai credenti per l’Ottobre missionario: “la Chiesa deve aprirsi allo sguardo di Dio: chi crede nel Signore vedrà la sua opera e diverrà lui stesso un testimone e profeta”.
Ilaria De Bonis (*)
(*) redazione “Missio”