Musei aperti ma crollo dei visitatori nell’anno della pandemia. Otto su 100 non riaprono
I dati Istat. Un comune italiano su 4 ospita una struttura museale. In totale nel 2020 risultavano aperti o parzialmente aperti 4.265 musei e istituzioni similari, pubblici e privati: 3.337 musei, 295 aree archeologiche e 633 monumenti o complessi monumentali. Quasi la metà delle strutture ha meno di cinque addetti; il 44,8% dei visitatori in sole 10 città italiane. Visite online per 7 musei su 10
Nel corso del 2020, nonostante le limitazioni dovute alla pandemia, il 92% delle strutture museali italiane è rimasto aperto al pubblico, anche se parzialmente. La maggior parte delle strutture è localizzata nelle regioni del Nord (46,2%), il 28,9% nel Centro e il 24,9% nel Mezzogiorno. La crescita progressiva del numero di visitatori registrata negli ultimi anni ha subito un brusco arresto: nel 2020 -72% i visitatori di musei, aree archeologiche, monumenti e complessi monumentali rispetto all’anno precedente. Sette musei su 10 (73%) hanno promosso modalità di visita online, incrementando le iniziative e i servizi digitali già disponibili nel periodo pre-pandemia. Questi alcuni dei dati pubblicati oggi dall’Istat nel suo report su “Musei e istituzioni similari in Italia”.
Un comune italiano su quattro ospita una struttura museale
Secondo l’Istat, nel 2020 in Italia risultavano aperti o parzialmente aperti 4.265 musei e istituzioni similari, pubblici e privati: 3.337 musei, 295 aree archeologiche e 633 monumenti o complessi monumentali. L’offerta di strutture espositive a carattere museale ha una densità sul territorio pari a 1,4 musei o istituti similari ogni 100 kmq e a circa uno ogni 14 mila abitanti in termini demografici.
Più di un comune italiano su quattro (26,7%) ospita almeno un museo o un istituto similare. Quasi la metà delle strutture espositive è nelle regioni del Nord (46,2%), il 28,9% al Centro e il 24,9% al Sud e nelle Isole. Nel Mezzogiorno si concentra oltre la metà delle aree archeologiche (51,5%); in Italia settentrionale si trovano il 49,4% dei musei e il 40% dei monumenti. La più alta concentrazione di strutture è in Toscana (541), Emilia-Romagna (402), Lombardia (387), Piemonte (346) e Lazio (357). In alcune regioni le istituzioni culturali sono diffuse in modo ancora più capillare. La quota di comuni dotati di almeno una struttura (sul totale dei centri presenti entro i confini regionali) sale al 68,1% in Toscana e al 62% in Umbria. Nelle Marche, in Emilia-Romagna e in Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste quasi la metà dei comuni ha almeno un museo (rispettivamente 49,8%, 49,4% e 48,6%) mentre in altre regioni le strutture museali sono concentrate in un numero ristretto di comuni. Accade così in Lombardia, dove i luoghi della cultura sono presenti solo nel 14,5% dei centri urbani, in Molise (15,4%) e in Piemonte (18,3%); anche in Campania e in Basilicata la percentuale di comuni che ospitano almeno un luogo della cultura è inferiore alla media nazionale (18,9% contro 19,1%).
Un patrimonio in gran parte pubblico
Quasi due terzi dei musei e delle strutture espositive similari sono istituzioni pubbliche (67,9%). Ben 2mila istituti (69% del sottoinsieme a titolarità pubblica) dipendono da enti locali, mentre 444 sono istituzioni statali (15,3%) e il 4,7% istituzioni regionali. Tra gli istituti privati aperti o parzialmente aperti nel 2020, il 33,3% fa capo ad associazioni, il 21,3% a fondazioni, il 19,2% ad enti ecclesiastici e religiosi (262 strutture) mentre nell’8,4% dei casi si tratta di privati cittadini. Dal punto di vista della varietà del patrimonio, nel 21% dei casi si tratta di musei archeologici con testimonianze delle civiltà preistoriche e antiche, di aree e parchi archeologici e di manufatti di archeologia, soprattutto in Basilicata, Lazio, Sardegna e Puglia. Seguono i musei che espongono collezioni e beni di arte antica, moderna e contemporanea (17,7%), presenti soprattutto nelle Marche, in Umbria, Toscana e in Lombardia, e i musei tematici e specialistici (11,6%) localizzati principalmente nella Provincia di Bolzano, in Friuli-Venezia Giulia e in Liguria. I musei su usi e costumi delle comunità locali con collezioni etno-antropologiche (10,8% del totale) risultano più diffusi in Basilicata, nella Provincia di Trento e in Molise mentre quelli di arte sacra, le chiese musealizzate e i monumenti a carattere religioso (7,5% del totale) sono relativamente più presenti in Sicilia, Toscana, Umbria e Campania.
In Italia non solo grandi poli di attrazione culturale
Poco più di un decimo (11,5%) della ricchezza storico-culturale, architettonica e archeologica italiana censita nel 2020 si trova in 10 comuni: Roma (112), Firenze (68), Milano (48), Genova e Torino (41), Bologna (40), Napoli (37), Trieste (36), Siena e Venezia (33). “Nelle città di Roma e Firenze, capitali mondiali del turismo culturale, si concentra il 42,3% dei musei e delle altre istituzioni a carattere museale presenti in Italia – afferma l’Istat -. Caratteristica del nostro Paese è la diffusione capillare dei luoghi di interesse culturale: il 32,2% degli istituti museali si trova in piccoli comuni con meno di 5mila abitanti (alcuni dei quali arrivano a contare sino a 4 - 5 strutture), il 33% in comuni di media grandezza demografica (tra i 5mila e i 30mila abitanti). L’Italia è dunque contraddistinta da un’offerta museale fortemente policentrica e uniformemente distribuita su tutto il territorio, anche in aree marginali dal punto di vista geografico, socio-economico o infrastrutturale”.
Durante la pandemia servizi al pubblico garantiti da quasi tutti i musei
Nel 2020, in seguito ai provvedimenti di legge che hanno disposto la chiusura obbligatoria delle strutture museali per il contenimento della diffusione del Covid-19 (tra fine febbraio e maggio e tra novembre e dicembre) quasi tutti i musei (il 92%) sono riusciti a garantire servizi e attività, riaprendo gli spazi espositivi al pubblico di visitatori quando consentito. Di questi, oltre la metà (56,7%) è rimasta aperta al pubblico per più di cinque mesi nell’anno, il 28,1% da tre a cinque mesi mentre il 15,2% ha assicurato l’accesso fisico ai visitatori soltanto per due mesi. I musei delle regioni del Centro (61,1%) e i musei dei grandi centri urbani (63,2%) e delle città metropolitane (59%) sono riusciti più di altri a garantire un’apertura prolungata delle strutture (più di cinque mesi). Mediamente, nel corso del 2020, le strutture sono state aperte al pubblico per circa 116 giorni.
Visite online per sette musei su dieci
A fronte dei provvedimenti che hanno limitato la possibilità di frequentare luoghi pubblici al chiuso per l’emergenza sanitaria, sette musei su 10 (73%) hanno utilizzato strumenti e modalità alternative per rimanere in contatto con il pubblico. Di questi, la maggioranza (63,6%) ha realizzato attività a distanza di comunicazione e informazione attraverso i principali social media (Facebook, Instagram, Twitter), il 46,1% ha incrementato o avviato iniziative di informazioni tramite piattaforme web dedicate, il 39,1% ha realizzato presentazioni in streaming delle proprie collezioni o proposto video interviste con esperti del settore.
Tre musei su 10 (il 30%) hanno scelto di mettere a disposizione degli utenti tour virtuali della struttura museale, per consentire la visita guidata a distanza degli ambienti espositivi. Per organizzare ed erogare servizi online i musei in gran parte (85,4%) si sono avvalsi di personale interno che già disponeva delle competenze professionali necessarie per gestire le tecnologie digitali. Relativamente pochi i musei che hanno fatto ricorso a figure professionali esterne (24,3%) o fornito appositi interventi formativi o di riqualificazione professionale al personale interno (11,7%).
Quasi la metà delle strutture ha meno di cinque addetti
Nel 2020 il settore museale italiano mobilita complessivamente quasi 48mila operatori tra dipendenti, consulenti, addetti esterni e volontari; in media 11 persone per ogni struttura censita. Il 68,4% degli istituti ha non più di 10 addetti, il 26,8% da 11 a 20. Gli addetti delle imprese e degli enti esterni (per esempio personale per i servizi di bigliettazione, di pulizia o di sorveglianza) sono quasi 9mila, in media due per istituto. Importante il contributo di volontari, tirocinanti e stagisti: più di 14mila, in media quattro per struttura espositiva. Il 12% dei musei ha un organico composto interamente da personale che opera in maniera volontaria e gratuita; più della metà ha titolarità comunale (52,2%).
Nei periodi di chiusura la metà dei musei (50,7%) ha impiegato il personale in modalità di “lavoro agile”, il 26,6% ha utilizzato ferie, congedi e similari per coprire il periodo di sospensione lavorativa del proprio organico. Il 22,6% delle strutture ha fatto ricorso alla cassa integrazione ordinaria o in deroga e il 21,2% ha effettuato una turnazione, in particolare degli addetti interni (23,8% contro 7,9% degli esterni), pianificando gli orari di lavoro in modo da garantire distanziamento sociale e rispetto dei requisiti di sicurezza. Basso il ricorso alla collocazione del personale, sia interno che esterno, in altri uffici o servizi (rispettivamente 7,9% e 3%).
Il rapporto con la comunità locale la risorsa su cui investire di più
Anche a seguito dell’esperienza di lockdown, tra i servizi digitali più strategici su cui i musei ritengono prioritario investire figurano soprattutto la possibilità di offrire all’utente la visita degli ambienti espositivi attraverso tour virtuali fruibili su piattaforme web specialistiche di interesse settoriale (25,4%) e il servizio online di prenotazione delle visite (20,4%). Seguono l’interesse a incrementare la presenza del museo sui canali social (18,6%), il potenziamento di attività di promozione e presentazione delle collezioni, anche attraverso video interviste e incontri online (18%) e la possibilità di svolgere corsi formativi e laboratori didattici a distanza (13,6%). Tra le attività per le quali sarebbe opportuno impegnare risorse e sostenere investimenti nell’immediato futuro, la maggior parte dei musei indica la collaborazione con enti, istituzioni scolastiche e associazioni per realizzare progetti culturali e sociali sul territorio e con la comunità locale (55,3%) e il recupero del rapporto con il pubblico attraverso la promozione di biglietti integrati o accessi agevolati (29,2%).
Brusco arresto della crescita di visitatori
Dal 2006 al 2019 il pubblico del patrimonio culturale italiano è aumentato di un terzo (+33,6%), in media con un ritmo di oltre due milioni e mezzo di visitatori annui. Tra il 2018 e il 2019 si riscontra un rallentamento della crescita, un milione e mezzo di persone (+1%) contro i 10 milioni registrati tra il 2018 e il 2017, che nel 2020 si trasforma in un crollo. “Con la chiusura obbligatoria delle strutture si ferma l’aumento di visitatori che aveva contraddistinto gli ultimi quattordici anni – evidenzia l’Istat -. Il settore museale, che aveva registrato nel 2019 un totale di circa 130 milioni di pubblico, nel 2020 ne rileva 36 milioni 65mila (-72%) con una utenza media quasi cinque volte più bassa di quella accertata nel periodo pre-pandemia (9mila persone per istituto contro le 28mila del 2019)”.
In particolare, delle 3.489 strutture non statali aperte o parzialmente aperte nel 2020 la maggioranza (79,1%) non supera i 5mila visitatori; il 16,7% ne conta tra 5mila e 50mila e solo il 2,5% più di 50mila (6% nel 2019). In totale negli istituti non statali il calo è pari a -69% rispetto al 2019. Le strutture statali, che annoverano un patrimonio museale tra i più rilevanti del nostro Paese, sembrano aver risentito di più dello stop obbligatorio: la diminuzione di visitatori è del 76% nel confronto con l’anno precedente mentre nel 2019 era +7% rispetto al 2018.
Quasi la metà di visitatori in sole 10 città italiane
Come per il 2019, anche nei mesi del 2020 in cui era consentita la visita delle strutture museali, i siti italiani che hanno registrato il maggior flusso di visitatori sono il Pantheon e l’Anfiteatro Flavio (Colosseo), con l’annesso Foro Romano e Palatino di Roma, con più di tre milioni di visitatori (quasi 21 milioni nel 2019). In cima alla classifica dei luoghi più visitati figurano anche il Museo dell'Opera della Metropolitana e il Complesso del Duomo di Siena, con più di 900mila visitatori, la Galleria degli Uffizi e il Corridoio Vasariano di Firenze (circa 660mila visitatori) e l’Area archeologica di Pompei (568mila), strutture che, prima della pandemia, nel complesso attraevano mediamente tra i 2 e i 4 milioni di visitatori ogni anno. Queste cinque istituzioni, che nel 2019 avevano avuto più di 29 milioni di visitatori, nei mesi di apertura del 2020 ne hanno registrato in totale 5 milioni 300mila (il 14,7% del totale rilevato nel 2020), subendo un collasso di utenza pari a -82% rispetto all’anno precedente. “Anche nell’anno della pandemia il flusso di visitatori tende a gravitare intorno a pochi centri e la distribuzione delle presenze risulta molto polarizzata sulle mete più conosciute e popolari. Infatti, le prime 10 città italiane che attraggono il maggior numero di visitatori (il 44,8% del totale) sono nell’ordine: Roma, Firenze, Venezia, Milano, Siena, Torino, Pisa, Napoli, Trieste e Ravenna.
Otto strutture espositive su 100 non riaprono dopo il lockdown
Soltanto l’8% dei musei non ha riaperto ai visitatori dopo la chiusura fisica imposta alla fine di febbraio 2020. In particolare, il 2% delle strutture ha continuato a svolgere soltanto le ordinarie funzioni amministrative, di ricerca e di comunicazione, ma non ha riaperto gli spazi espositivi alla visita del pubblico mentre il 6% ha sospeso tutte le attività, comprese quelle di gestione e di organizzazione amministrativa del museo. “La maggioranza di queste istituzioni (il 41,6%) ha interrotto le visite in presenza perché non ha potuto adottare le misure sanitarie per ridurre i rischi di contagio negli spazi espositivi; per un museo su 10 (11,2%) la mancata apertura al pubblico è strettamente legata alla carenza di personale e di risorse economiche adeguate per il rispetto dei provvedimenti previsti per il contenimento della pandemia”.
Tra i musei inattivi, la maggioranza è a titolarità pubblica (62,2%), in particolare di enti locali (49,3%), o collocata in piccoli centri urbani fino a 5mila abitanti (45,5%) o in zone rurali scarsamente popolate (45,7%). Più della metà di questi istituti si trova nel Nord (53,7%) soprattutto in Piemonte e in Lombardia. Tra le strutture che sembrano avere risentito maggiormente della chiusura per il contenimento della pandemia figurano i musei di storia e scienze naturali (19,7%), i musei che espongono materiale etno-antropologico (16,7%) e i musei di arte (13,5%). Durante il periodo di sospensione dell’accesso fisico del pubblico, il 35,8% è comunque riuscita a garantire attività e servizi online, attivando o incrementando la presenza sia sui principali social media, sia sulle piattaforme web dedicate (18,5%). Solo il 22% ha riaperto al pubblico i propri spazi espositivi già nei primi mesi del 2021; del restante 78% una metà ha programmato di riattivare il servizio di visita entro la fine del 2021 mentre l’altra metà non ha saputo indicare se e quando avrebbe aperto di nuovo al pubblico.