Mercato del lavoro, la difficoltà è entrare
La crisi del mercato del lavoro in Italia. intervista a Gianfranco Zucca, ricercatore dell’Iref (Istituto di ricerche educative e formative) delle Acli.
«Il decreto approvato dal Governo ha uno scopo abbastanza promozionale e poco incide sulla precarietà». A dirlo è Gianfranco Zucca, ricercatore dell’Iref (Istituto di ricerche educative e formative) delle Acli. «La questione più generale che colpisce è che in Italia si continua a pensare che si creeino posti di lavoro cambiando le leggi».
Cosa non la convince del dibattito in corso?
«La polemica sulla durata dei contratti e sulle causali dei contratti non coglie le dinamiche economiche. La questione vera è come si fa a creare buoni posti di lavoro. La maggioranza degli imprenditori non cerca precarietà per risolvere i propri problemi».
Negli ultimi anni si è diffuso il mito che con maggiore flessibilità si sarebbero creati più posti di lavoro e alla lunga anche più stabilità. Non si è verificato tutto questo.
«I dati dicono che abbiamo il numero di occupati più alto da quando è iniziata la crisi. La questione è che sono quasi tutti occupati a termine con le incognite circa la prospettiva, la durata e la qualità dell’impiego».
Flessibilità e stabilità del lavoro sono inconciliabili e quando si predilige una questa va a scapito dell’altra, o c’è un punto di equilibrio?
«In altri Paesi questo punto di equilibrio viene trovato dando alle persone la possibilità di trovare un nuovo lavoro in maniera molto veloce. Gli Stati Uniti sono l’esempio principe di questa dinamica. Il problema del mercato italiano è che le modalità di ricerca del lavoro sono molto poche. Se si guardano i dati di qualsiasi ente pubblico che si occupi di statistiche sul lavoro l’indicatore su come hai trovato il lavoro attuale è 60-70 per cento contatti personali, un pochino funzionano i servizi di intermediazione privati».
Il problema fondamentale è dunque l’accesso al mercato?
«Sì l’accesso e il reingresso nel mercato del lavoro. La paura che molti hanno è che una volta persa l’occupazione non riusciranno a trovarne un'altra e per questo si rendono disponibili a delle concessioni che fino a 20 anni fa sarebbero state impensabili. Nel mercato del lavoro italiano c’è molta paura...».