La guerra dei brand. Tutti i marchi più celebri hanno chiuso ogni attività e commercio in Russia
Nel 2022 la qualità di vita si misura anche nella disponibilità e varietà di beni da acquistare.
Un noto economista di area cattolica (Leonardo Becchetti) ci ha insegnato in questi anni che anche il nostro portafoglio può imporre i nostri valori, le nostre idee. In una società dominata dai consumi, ogni acquisto può orientarsi in un modo piuttosto che in un altro, fare la fortuna di… piuttosto che far declinare quel prodotto o quell’azienda.
In questi giorni assistiamo a due fenomeni, legati all’invasione russa dell’Ucraina. Da una parte, le classiche sanzioni economiche che l’Occidente ha imposto alla Russia soprattutto per bloccarne l’economia; dall’altra, il fuggi fuggi di tutte le multinazionali occidentali da Mosca e dintorni. Non tanto per paura, quanto per scelta: non vogliono vendere i loro prodotti in quel Paese.
È la logica di Becchetti, rovesciata: qui sono i prodotti consumati a scappare dai possibili consumatori. Due anzitutto le ragioni: una valoriale (un modo per criticare il governo russo e le sue scelte) e una d’immagine. Si vuole comunicare a tutti gli altri consumatori del mondo che il proprio marchio (brand, si direbbe a Londra) non ha nulla da spartire con carri armati, morte e distruzione.
Così praticamente tutti i marchi più celebri hanno chiuso i negozi, i rifornimenti di prodotti, i canali di vendita on line, la possibilità tecnica – vedi i social – di usufruirne; addirittura le fabbriche se dislocate in Russia. Non solo mancheranno a Mosca i profumi e le scarpe occidentali, ma si fermano pure le fabbriche che producono auto giapponesi o tedesche. Quando la gente perde il lavoro, non è mai contenta.
Abbiamo il boicottaggio del mercato verso quei consumatori, così da produrre un livello di insofferenza verso chi li governa. Nel 2022 la qualità di vita si misura anche nella disponibilità e varietà di beni da acquistare: l’autarchia può sopperire, ma i mugugni crescono, i problemi pure.
Se poi pensiamo a quei ragazzi dentro i carri armati, tolti dal loro Big Mac preferito, senza musica e social negli smartphone, spersi in un Paese ostile a mille chilometri da casa a uccidere o a farsi uccidere, immaginiamo che i più di loro in questo momento stiano pensando: che ci faccio qui?