Israele e Hamas. P. Romanelli (parroco Gaza): “Questa guerra deve finire per il bene di palestinesi e israeliani”
A un anno dallo scoppio della guerra tra Hamas e Israele, il Sir ha raccolto la testimonianza del parroco latino di Gaza, padre Romanelli. Il racconto di una popolazione allo stremo, di scampoli di serenità, come l'immagine dei bambini che dopo mesi hanno ricevuto il dono prezioso di una mela. L'opera di solidarietà della piccola parrocchia e le telefonate di Papa Francesco. L'appello: "Deporre le armi. Nel silenzio delle armi sarà più facile udire la voce degli innocenti di Gaza, quella degli ostaggi israeliani che anelano la libertà"
“Un anno vissuto tra dolore e speranza, notti e giorni a pregare in chiesa per la pace, per la fine delle ostilità, per la liberazione degli ostaggi, per un cessate il fuoco che donasse a tutti un po’ di sollievo, di respiro. Un anno in cui tanti nostri fratelli e sorelle, ci hanno lasciato, vittime di questa guerra che nessun innocente vuole. Un anno vissuto circondati solo da macerie e distruzione, nell’attesa di aiuti e di sostegno che, grazie alla Provvidenza, non sono mai mancati”:
così padre Gabriel Romanelli, parroco latino della parrocchia della Sacra Famiglia, l’unica cattolica della Striscia di Gaza, racconta al Sir un anno di guerra scoppiata a Gaza dopo l’attacco terroristico del 7 ottobre 2023, contro Israele da parte di Hamas. Un attacco senza precedenti, per la complessità dell’operazione, per il numero di vittime israeliane e di ostaggi catturati, e per la crudeltà con cui è stato condotto. Padre Gabriel è rientrato nella Striscia a maggio scorso – in occasione della visita di solidarietà a Gaza del patriarca latino di Gerusalemme, card. Pierbattista Pizzaballa – dopo 8 mesi, perché costretto a Betlemme dallo scoppio della guerra, ma in questo tempo non ha mai lasciato soli i suoi fedeli, poco più di 100 anime. “Sono rimasto in contatto continuo con loro e con il mio vicario, padre Youssef Asaad – ricorda il sacerdote di origini argentine appartenente all’Istituto del Verbo Incarnato (Ive) -. La parrocchia pochi giorni dopo l’attacco era diventata già un rifugio per i nostri cristiani sfollati dai bombardamenti israeliani”. Risale a quei momenti la prima telefonata di Papa Francesco che, aggiunge il parroco, “mi ha manifestato la sua vicinanza e la sua preghiera per la comunità ecclesiale di Gaza e per tutti i parrocchiani e abitanti”. Telefonate che sono diventate un appuntamento giornaliero.
“Papa Francesco – rivela padre Gabriel – ci telefona sempre. Ci ha chiamato anche durante il suo ultimo viaggio in Indonesia, Papua Nuova Guinea, Timor-Leste e Singapore. Ogni sera, alla stessa ora molti dei nostri sfollati si ritrovano per ascoltare e, quando possibile, vedere il Pontefice, per ricevere un saluto e la sua benedizione. La sua vicinanza materiale e spirituale è per noi un vero balsamo e motivo di speranza”.
La missione della parrocchia. Tanti i momenti difficili passati dalla parrocchia, soprattutto quando l’esercito israeliano ha emanato ordini di evacuazione dalla zona nord e da Gaza city dove è sita la parrocchia che in alcuni momenti ha accolto anche più di 700 sfollati. “Nessuno dei fedeli – racconta padre Gabriel – ha lasciato le strutture parrocchiali perché, se da un lato non sapevano dove andare, dall’altro dicevano ‘se dobbiamo morire vogliamo morire nella nostra chiesa’. Nel frattempo, abbiamo continuato ad aiutare tante famiglie, anche musulmane, che abitano nei pressi della parrocchia”. Una missione che padre Gabriel, con il suo vicario padre Youssef, le suore dell’Ive e di Madre Teresa, che accudiscono 58 tra disabili e anziani, portano avanti ancora oggi.
“Ci conforta la fede dei nostri e la serenità di tante famiglie povere che gravitano nel nostro quartiere – dice il parroco -. Sappiamo che questa ingiustizia finirà e nel frattempo diamo loro l’aiuto che possiamo”.
Grazie anche alla missione umanitaria congiunta del Patriarcato latino e del Sovrano Ordine di Malta, avviata lo scorso 14 maggio, in collaborazione con il Malteser International e altri partner, e finalizzata alla consegna di cibo e assistenza medica salvavita alla popolazione locale, la parrocchia riesce ad aiutare più di 1500 famiglie: “In questi giorni, dopo quasi un anno, con la Caritas della parrocchia abbiamo consegnato frutta e verdura.
È una gioia vedere tanti bambini felici con una mela in mano.
Ringraziamo Dio per questi scampoli di serenità che riportano un po’ di sorriso ai più piccoli che vivono in mezzo a macerie e alla distruzione totale. Intorno a noi non c’è un palazzo che non sia stato colpito, abbattuto o danneggiato”. Lo scorso 18 settembre una nuova consegna di aiuti umanitari, effettuata nell’ambito della collaborazione tra Patriarcato latino e il Sovrano Ordine di Malta, ha raggiunto la popolazione nel nord di Gaza. Si è trattato della terza consegna di aiuti vitali alla parrocchia di Gaza. I beni umanitari sono stati distribuiti alle persone bisognose lunedì 23 settembre. Un totale di 40 tonnellate di kit alimentari è stato consegnato dal Malteser International al nuovo Centro di distribuzione istituito dal Patriarcato Latino nei pressi del complesso del Patriarcato nel nord di Gaza. Oltre alla fornitura di alimenti non deperibili, come ceci (in scatola), datteri e carne, questa volta la consegna ha incluso anche frutta e verdura fresca.
Quale futuro? Il pensiero di padre Gabriel e dei gazawi, quelli più grandi, corre al futuro: “Cosa sarà di Gaza? Cosa sarà dei suoi abitanti?” le domande più ricorrenti. “La gente è stanchissima – sottolinea il parroco – non sa più dove andare, a chi chiedere sostegno. La guerra non accenna a fermarsi, sentiamo bombardamenti notte e giorno, si vive nella paura di morire da un momento all’altro. Scuole bombardate, gli ospedali, quei pochi che ancora sono operanti, non riescono a fornire cure adeguate, non si trovano medicinali né per i feriti né per i malati cronici. Impossibile fare accertamenti per malattie gravi come quelle oncologiche. Ogni giorno ci sono gazawi che si ammalano e destinati a non ricevere cure”. In questi giorni l’esercito israeliano ha concesso dei permessi sanitari a feriti e malati più gravi per uscire dalla Striscia, “un piccolo segno di speranza, un gesto buono”, commenta padre Gabriel.
“Una strana serenità”. I 500 sfollati della parrocchia latina intanto continuano la loro vita pregando e dandosi da fare per soddisfare i bisogni di tutti, mangiare, bere, garantire la pulizia degli ambienti. In una parola: sopravvivere. “È surreale – spiega il parroco – vedere, tra tante macerie umane e materiali, i bambini giocare qui all’interno della parrocchia sotto gli occhi dei loro genitori. Per loro abbiamo organizzato attività ricreative estive e a breve riprenderemo anche un po’ di scuola”. La sensazione, difficile da spiegare per padre Gabriel, “è quella di una strana serenità, frutto della fede in Dio che ci dona la certezza che tutto finirà. È doloroso – ammette – vedere la Terra Santa, redenta e purificata dal sangue di Gesù, soffrire così.
Soffrono i due popoli, soffrono i prigionieri, soffrono gli ostaggi, soffrono gli oltre 95mila feriti, soffrono i familiari delle 40mila e più vittime. Il dolore è grande in tutti e due i popoli.
Perseveranti nella Carità. Come cristiani gazawi continueremo a servire a Gaza. Non importa in quanti resteremo, noi sappiamo che la Chiesa è perseverante nella Carità. I gazawi hanno visto tante guerre e hanno visto questa terra cadere e risorgere. Sarà così anche questa volta. Servirà tanto aiuto internazionale. Ma la prima cosa da fare adesso, dopo un anno di morte e di odio – conclude – è deporre le armi. Nel silenzio delle armi sarà più facile udire la voce degli innocenti di Gaza, quella degli ostaggi israeliani che anelano la libertà. Basta! Questa guerra deve finire per il bene dei palestinesi e degli israeliani, per il bene del mondo intero. Da Gaza lanciamo un appello per la pace e per aiutare le vittime di questa sciagura. Il Signore illumini le menti di chi può fermare questa mattanza”.