Israele e Hamas. Ex ostaggi a Roma: “Subito un accordo per liberare chi è ancora a Gaza. Vero nemico è l’odio”
“Trovare l’accordo, a qualsiasi costo, per il rilascio dei 101 ostaggi ancora in mano ad Hamas, prima che arrivi l’inverno”: è la richiesta di cinque ex prigionieri israeliani rapiti da Hamas il 7 ottobre dello scorso anno e poi liberati che ieri mattina in Vaticano sono stati ricevuti dal Papa. Nel pomeriggio, invece, l'incontro con la stampa nel quale hanno rievocato la loro prigionia e rilanciato l'urgenza di un accordo
Un’unica, sola, richiesta: “Trovare l’accordo, a qualsiasi costo, per il rilascio dei 101 ostaggi ancora in mano ad Hamas, a Gaza, prima che arrivi l’inverno”. Confidano nell’azione di Papa Francesco, “che riesce a parlare con tutti”, e nell’aiuto dei Governi internazionali, tra cui l’Italia, “di Biden o di Trump, non importa chi, se di destra o di sinistra”, per riportare a casa, “bring them home”, i loro cari “da 406 giorni in ostaggio nella Striscia di Gaza”. Sono cinque ex prigionieri israeliani rapiti da Hamas il 7 ottobre dello scorso anno – nei kibbutz di Beeri, Nir Oz, Nir Yitzhak – Adi Shoam, Yelena Trufanov, Sharon Lifshitz, Sahar Kalderon e Norberto Luois Har che ieri pomeriggio, a Roma, hanno incontrato la stampa. La mattina erano stati ricevuti da Papa Francesco che aveva ribadito la promessa, fatta già ad altre due delegazioni di ostaggi, di “pregare e fare tutto il possibile” per la loro liberazione.
Concetto ripreso dall’ambasciatore di Israele presso la Santa Sede, Yaron Sideman, che ha accompagnato la delegazione in Vaticano, aprendo la conferenza stampa: “Sono passati 37 giorni da quando ci siamo riuniti per commemorare l’attacco del 7 ottobre. Dobbiamo riportare a casa vivi e sani quelli ancora detenuti a Gaza”.
L’inferno dei tunnel. Durante l’incontro con la stampa non sono risuonate parole di odio o di vendetta ma tanti ricordi sofferti della loro prigionia durante la quale hanno sperimentato “l’inferno dei tunnel e la disumanità” dei carcerieri di Hamas. Yelena Troufanov, che ha avuto il marito Vitaly trucidato durante l’attacco e con il figlio Sasha (28 anni) ancora in ostaggio, ha ricordato l’incontro con l’allora capo di Hamas, Yahya Sinwar, ucciso lo scorso ottobre: “Mentre passava vicino al nostro tunnel si è fermato un attimo e, parlando in ebraico, ci ha chiesto come venivamo trattati”. L’altro ieri la Jihad islamica ha diffuso un video di Sasha che mostra il giovane molto provato: “Sono sollevata – ha detto la madre – perché è vivo ma ho paura per lui perché l’ho visto cambiato. Non è solo la sua salute fisica che mi preoccupa, ma anche quella mentale. Sono molto preoccupata per lui dopo un anno di prigionia”. Significativa è stata la testimonianza di Yocheved Lifshitz, riferita ai giornalisti da sua figlia Sharon: “Mia madre ha incontrato il capo di Hamas e gli ha chiesto perché si sono accaniti contro gente pacifica, ma non ha avuto risposta. Purtroppo – ha aggiunto – c’è un ‘tango’ che va avanti da molti anni tra Hamas e Netanyahu, e noi ne stiamo pagando le conseguenze”. Yocheved è la donna che ha stretto la mano al suo carceriere quando venne rilasciata il 23 ottobre 2023, un’immagine che fece il giro del mondo. Forte la denuncia di Luois Har che ha parlato di “violenze sessuali e stupri contro uomini e donne di fronte ai bambini piccoli”. Har ha rievocato il momento della sua liberazione da parte dell’esercito israeliano con un blitz e si è detto “fortunato per essere qui e raccontare quello che ho vissuto. Devo la mia vita ai soldati. Ricordo bene le loro parole, ‘Luois, siamo venuti per riportarti a casa’”. Ma, ha aggiunto, “ho il cuore spaccato a metà: una parte di noi è ancora lì a Gaza. Vi supplichiamo di fare tutto il possibile per riportarli a casa. Finché saranno lì non ci potrà essere nessuna soddisfazione”.
“Niente è più importante della vita dei nostri cittadini. Quello che è successo è un crimine contro l’umanità”.
“Mio padre è ancora a Gaza. Ci manca tantissimo”, ha raccontato Gaya Kalderon, 22 anni, sorella di Sahar, quest’ultima presa in ostaggio con suo fratello Erez (12 anni), entrambi rilasciati il 27 novembre 2023 nell’ambito dell’accordo di cessate il fuoco temporaneo. Suo padre Ofer, invece, è ancora nelle mani di Hamas. Gaya e suo fratello Rotem si sono salvati perché si sono rinchiusi dentro la “safe room” del proprio appartamento. “Quando mia sorella e mio fratello sono stati rilasciati la prima cosa che ci hanno raccontato è stato l’inferno che hanno vissuto – ha affermato -. La mia famiglia è molto preoccupata. Mia sorella l’ha visto e l’ha trovato emaciato, dimagrito e disperato. Ci manca tantissimo”.
Il vero nemico è l’odio. Guardando al presente, Sharon Lifshitz ha voluto sottolineare che
“il nostro vero nemico è l’odio verso l’altro, il diverso. È devastante il fatto che i social media, che dovevano creare ponti e conoscenza tra le persone, oggi fomentano la divisione e l’inimicizia”. “L’antisemitismo crescente che stiamo vedendo – ha spiegato – risiede anche nell’incapacità di distinguere tra le persone, gli ebrei in quanto tali, e le eventuali decisioni politiche del Governo che possono non piacere”.
“Io non condivido affatto determinate azioni del nostro governo e manifesto in piazza insieme a mia madre. Perché devo essere sempre considerata un’agente dello Stato di Israele? Così, allo stesso modo con cui cerchiamo di informarci su quanto accade a Gaza, sulla sofferenza della popolazione, se si vuole conoscere la verità, dobbiamo anche sapere quanto è effettivamente accaduto il 7 ottobre 2023”.